Associazione Cognitivismo Clinico, Psicoterapia Formazione e Ricerca
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I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
● Anoressia nervosa
L’anoressia nervosa è un disturbo dell’alimentazione che si manifesta con:
-rilevante perdita di peso. Chi soffre di questo disturbo presenta meno del 15% del peso considerato normale per età, sesso e altezza;
-eccessiva paura di ingrassare anche quando si è sottopeso;
-alterazione nella valutazione del peso e nella percezione della taglia e della forma corporea.
Chi soffre di anoressia nervosa presenta una vera e propria ossessione per il cibo (es. pensieri ripetuti sul cibo, continua lettura di ricette di cucina, costante preparazione dei pasti per i propri familiari….) e manifesta comportamenti finalizzati alla riduzione del peso come ad esempio: digiuni prolungati, vomito auto-indotto, eccessiva attività fisica. Spesso compaiono ulteriori comportamenti di controllo (body check) come pesarsi di continuo, controllare le proprie forme allo specchio, misurare alcune parti del corpo.
Si possono distinguere due forme di anoressia nervosa: l’anoressia restrittiva caratterizzata da digiuno e intensa attività fisica e l’anoressia con bulimia, nella quale sono presenti delle abbuffate (episodi in cui si mangiano quantità elevate di cibo accompagnate dalla sensazione di perdere il controllo sul cibo).
La psicoterapia cognitivo-comportamentale (modello transdiagnostico) è considerata il trattamento d’elezione per l’anoressia nervosa e gli altri Disturbi Alimentari. In tale terapia vengono affrontati sia i pensieri distorti sia i comportamenti alimentari disfunzionali. Essa prevede quattro fasi:
nella prima fase vengono date al paziente informazioni sul disturbo (psicoeducazione) e si identificano i fattori di mantenimento del disturbo;
nella seconda fase l’obiettivo è quello di affrontare i pensieri distorti sulla dieta, di migliorare la qualità e la quantità dell’alimentazione, di analizzare i progressi fatti ed eventuali ostacoli al cambiamento;
nella terza fase vengono affrontati i meccanismi di mantenimento del Disturbo Alimentare;
nella quarta fase si esaminano eventuali fattori di ricaduta e si valuta il mantenimento nel tempo dei risultati ottenuti.
Bibliografia:
-Dalle Grave R., (2005). Terapia cognitiva comportamentale multi-step dei disturbi dell’alimentazione: casi clinici. Positive Press. Verona.
-Fairburn C.G., (2010). La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione. Eclipsi. Firenze.
-Reichenberg L.W., (2015). DSM-5. L’essenziale. Raffaello Cortina Editore.
I disturbi d’ansia nell’invecchiamento sono molto frequenti anche se spesso risultano essere sotto diagnosticati e meno identificabili rispetto alla depressione. Alcune paure, fisiologiche con l’età possono trasformarsi in vere e proprie fobie che portano la persona a mettere in atto comportamenti di evitamento e di ritiro sociale con conseguenze importanti sull’autonomia e sulla qualità di vita. Le principali preoccupazioni che causano disagio significativo nei disturbi d’ansia negli anziani sono: la morte inattesa, la malattia e la disabilità, la perdita della propria autonomia o della persona amata, timore di cadere oppure di avere incidenti o essere aggrediti. Questi contenuti cognitivi presenti con intrusività quotidiana portano l’anziano a comportamenti agiti che ne acuiscono il senso di fragilità come: evitare di uscire per timore di aggressioni, smettere di fare attività fisica o passeggiate per non cadere, isolarsi socialmente, chiedere numerosi controlli medici non necessari o rassicurazioni sulla salute dei familiari. Da una prospettiva psicodiagnistica, i disturbi d’ansia più frequenti negli anziani sono: il disturbo d’ansia generalizzato (presenza di sintomi ansiosi che non sono legati ad una causa specifica con presenza di allerta costante e preoccupazione pervasiva), le fobie specifiche (timori rivolti ad un aspetto particolare), la fobia sociale (la paura di agire, di fronte agli altri, in modo imbarazzante o umiliante e di ricevere giudizi negativi) e l’ipocondria (costante apprensione per la propria salute e tendenza a sopravvalutare i minimi disturbi). Se non trattata tale ansia pervasiva ed intrusiva determina una diminuzione della qualità della vita dell’anziano, incide come ulteriore fattore di stress nei caregiver e porta una compormissione significativa nelle autonomie e nel funzionamento psico-sociale. Le linee guida internazionali e nazionali suggeriscono anche nella terza età la possibilità d’intervenire per tale disturbo attraverso un percorso di psicoterapia ad orientamento cognitivo-comportamentale.
Wuthrich, V. M., Johnco, C. J., & Wetherell, J. L. (2015). Differences in anxiety and depression symptoms: comparison between older and younger clinical samples. International Psychogeriatrics, 27(9), 1523.
Bryant, C., Mohlman, J., Gum, A., Stanley, M., Beekman, A. T., Wetherell, J. L., Thorp, S.R., Flint, A.J., & Lenze, E. J. (2013). Anxiety disorders in older adults: Looking to DSM5 and beyond. The American Journal of Geriatric Psychiatry, 21(9), 872-876.
I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
● Disturbo da binge-eating (disturbo da alimentazione incontrollata).
Il binge eating disorder o disturbo da alimentazione incontrollata è un disturbo alimentare caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate non seguite da vomito autoindotto o altri comportamenti compensatori come l’eccessiva attività fisica. Gli episodi di binge-eating (abbuffate di cibo) comprendono almeno tre dei seguenti aspetti:
-assumere grandi quantità di cibo anche se non ci si sente affamati;
-provare imbarazzo per la quantità di cibo ingerita e mangiare da soli;
-mangiare più rapidamente del normale;
-mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni;
-provare disgusto, tristezza o colpa dopo l’episodio.
Chi soffre di binge eating disorder spesso tenta di ridurre il proprio peso corporeo attraverso le diete ma fallisce nei suoi tentativi poiché presenta bassa autostima, difficoltà nella gestione delle emozioni e sintomi depressivi. Il cibo viene impiegato come strategia disfunzionale per “anestetizzare” e gestire le emozioni negative, ma le abbuffate determinano pensieri negativi di autocritica ed emozioni come colpa e vergogna che creano circoli viziosi disfunzionali per la salute fisica e psichica del paziente.
I trattamenti impiegati nel disturbo da alimentazione incontrollata sono: la psicoterapia cognitivo-comportamentale (modello transdiagnostico) e la terapia dialettico comportamentale (Dialectical Behavior Therapy – DBT).
La psicoterapia cognitivo-comportamentale (modello transdiagnostico) prevede quattro fasi:
nella prima fase vengono date al paziente informazioni sul disturbo (psicoeducazione) e si identificano i fattori di mantenimento del disturbo;
nella seconda fase l’obiettivo è quello di affrontare i pensieri distorti sulla dieta, di migliorare la qualità e la quantità dell’alimentazione, di analizzare i progressi fatti ed eventuali ostacoli al cambiamento;
nella terza fase vengono affrontati i meccanismi di mantenimento del Disturbo Alimentare;
nella quarta fase si esaminano eventuali fattori di ricaduta e si valuta il mantenimento nel tempo dei risultati ottenuti.
La terapia DBT favorisce un’adeguata gestione di emozioni intense generate da pensieri distorti sul cibo e sul corpo e facilita lo sviluppo di comportamenti alimentari funzionali e adattivi.
Bibliografia:
-Dalle Grave R., (2016). Come vincere i disturbi dell’alimentazione. Un programma basato sulla terapia cognitivo comportamentale, Positive Press.
-Linehan M., (2015). DBT Skills Training Manual. Second Edition. Raffaello Cortina Editore.
-Reichenberg L.W., (2015). DSM-5. L’essenziale. Raffaello Cortina Editore.
I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
● Bulimia nervosa
La bulimia nervosa si caratterizza per la presenza di preoccupazioni costanti circa la magrezza e ricorrenti abbuffate seguite da condotte compensatorie (es. vomito autoindotto, rigida restrizione alimentare, abuso di lassativi e diuretici, eccessiva attività fisica) per prevenire l’aumento di peso. Nell’abbuffata, la persona ingerisce un quantitativo di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte degli individui assumerebbe nello stesso lasso di tempo e sperimenta una sensazione di perdita di controllo sull’alimentazione.
Le persone con bulimia nervosa presentano bassa autostima, pensieri negativi concernenti il peso e la forma corporea, scarsa comprensione delle emozioni proprie e altrui, perfezionismo patologico (incapacità di tollerare l’errore), comportamenti impulsivi e ossessivi. Inoltre, spesso fanno uso di sostanze e alcol con l’obiettivo di controllare l’appetito e il peso. A livello medico, tale problematica può comportare complicanze renali, lacerazioni esofagee, sintomi gastrointestinali, irregolarità nel ciclo mestruale o amenorrea.
I trattamenti impiegati nella bulimia nervosa sono: la psicoterapia cognitivo-comportamentale (modello transdiagnostico) e la terapia dialettico comportamentale (Dialectical Behavior Therapy – DBT).
La prima, in particolare, agisce sui fattori di mantenimento del disturbo e prevede quattro fasi:
nella prima fase vengono date al paziente informazioni sul disturbo (psicoeducazione) e si identificano i fattori di mantenimento del disturbo;
nella seconda fase l’obiettivo è quello di affrontare i pensieri distorti sulla dieta, di migliorare la qualità e la quantità dell’alimentazione, di analizzare i progressi fatti ed eventuali ostacoli al cambiamento;
nella terza fase vengono affrontati i meccanismi di mantenimento del Disturbo Alimentare;
nella quarta fase si esaminano eventuali fattori di ricaduta e si valuta il mantenimento nel tempo dei risultati ottenuti.
Gli obiettivi principali della terapia dialettico-comportamentale sono: aiutare il paziente ad avere maggior consapevolezza di sé, regolare adeguatamente emozioni intense generate da pensieri distorti sul cibo e sul corpo, impiegare comportamenti funzionali e adattivi.
Bibliografia:
-Dalle Grave R., (2016). Come vincere i disturbi dell’alimentazione. Un programma basato sulla terapia cognitivo comportamentale, Positive Press.
-Fairburn C.G., (2010). La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione. Eclipsi. Firenze.
-Linehan M., (2015). DBT Skills Training Manual. Second Edition. Raffaello Cortina Editore.
-Reichenberg L.W., (2015). DSM-5. L’essenziale. Raffaello Cortina Editore.
La demenza indica una disfunzione cronica, progressiva e generalmente irreversibile delle funzioni del sistema nervoso centrale, il cui risultato è un complesso declino cognitivo generalmente accompagnato da disturbi dell’umore e del comportamento. Le funzioni cognitive, target del decadimento cognitivo ingravescente comprendono: l’efficienza intellettiva globale, la memoria, l’attenzione, le capacità prassiche, l’apprendimento, il riconoscimento, l’orientamento spazio -temporale ed il problem solving. Oltre ai segni tipici dell’impoverimento delle abilità mentali, le persone con demenza manifestano sintomi comportamentali e psichiatrici definiti behavioral and psychological symptoms of dementia – BPSD. I più frequenti sono: agitazione, comportamenti motori aberranti, ansia, euforia, irritabilità, depressione, apatia, disinibizione, manie, allucinazioni, e disturbi del sonno e alimentari. La gravità della demenza nell’insieme di tali sintomi è tale da provocare progressivamente una compromissione sostanziale del funzionamento lavorativo e sociale della persona. Ciascuna tipologia diagnostica di demenza ha delle peculiarità osservabili nella differente evoluzione di deterioramento delle facoltà cognitive e dei sintomi emotivi e comportamentali. Le più comuni forme di demenza sono: la malattia di Alzheimer, la demenza fronto-temporale, di Parkinson e a corpi di Lewy. L’età avanzata risulta essere il fattore di rischio maggiore per cui tali patologie sono di frequente riscontrabili nella popolazione anziana nonostante vi siano numeri sempre più crescenti di forme precoci. Uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di una demenza è l’età anziana. Ulteriori fattori di rischio sono patologie come il diabete, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione e l’obesità, ed anche uno stile di vita poco salutare, comprendente una scarsa attività fisica e mentale, un’alimentazione poco equilibrata, l’abuso di alcool o altre sostanze. Il fattore familiarità ha un peso significativo solo in una ridotta percentuale di casi. Le linee guida nazionali ed internazionali riconoscono la stimolazione cognitiva individuale e di gruppo come trattamenti efficaci di tipo non farmacologico nel contenimento sintomatologico di tali patologie neurodegenerative ed evidenziano come il supporto ai caregiver risulti essere uno strumento di supporto psicoeducativo ed emotivo nell’evoluzione della patologia.
American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders. 5. Arlington: American Psychiatric Association; 2013.
Bessey, L. J., & Walaszek, A. (2019). Management of behavioral and psychological symptoms of dementia. Current psychiatry reports, 21(8), 1-11.
La depressione è un disturbo dell’umore caratterizzato da sintomi psicologici che includono tristezza, sensazione di vuoto, perdita d’interesse per attività ritenute prima piacevoli, pessimismo, minor fiducia in sé stessi e sensi di colpa. A questi sintomi si accompagnano modificazioni neurofisiologiche dei ritmi sonno-veglia e nell’alimentazione e modificazioni cognitive quali minor attenzione e concentrazione, percezione di fallibilità nella memoria e nella risoluzione dei problemi e presenza di pensieri negativi automatici, egodistonici ed intrusivi. Negli anziani con depressione si riscontra una prevalenza maggiore della sintomatologia dell’area somatica (spesso origine del calo umorale) e frequente comorbilità con i disturbi d’ansia, in particolare con l’ipocondria. Nell’invecchiamento frequentemente il quadro depressivo può essere secondario ad una patologia somatica incipiente o cronica (diabete, disturbi cardiaci, artrosi, neoplasie, infarto miocardico acuto, alterazioni metaboliche, disabilità acquisite). Spesso si possono inoltre manifestare problematiche di memoria così importanti da far pensare ad un’iniziale quadro di demenza. Nei casi in cui i disturbi cognitivi siano però dovuti ad un disturbo depressivo si parla di pseudo-demenza depressiva. A differenza della demenza vera e propria, nella pseudo-demenza, una volta che il quadro depressivo va in miglioramento, anche i disturbi della memoria spariscono o migliorano notevolmente. Tra le cause identificate della depressione in età avanzata si individuano: i cambiamenti fisiologici-biologici nei meccanismi metabolici di base, i mutamenti nella cognizione (memoria, attenzione, funzione esecutive) e particolari fattori psicosociali che spesso incombono nella vita della persona non permettendone l’adattamento (isolamento, cambiamento dello status sociale, istituzionalizzazione, perdita del coniuge, essere caregiver, perdita della propria autonomia in seguito a cadute). Se non trattata la depressione a lungo termine può incidere gravosamente sulla qualità di vita e sul funzionamento psico-sociale dell’anziano. Le linee guida internazionali e nazionali suggeriscono anche nella terza età la possibilità d’intervenire per tale disturbo attraverso un percorso di psicoterapia ad orientamento cognitivo-comportamentale.
Kang, H., Zhao, F., You, L., & Giorgetta, C. (2014). Pseudo-dementia: A neuropsychological review. Annals of Indian Academy of Neurology, 17(2), 147.
Mitina, M., Young, S., & Zhavoronkov, A. (2020). Psychological aging, depression, and well-being. Aging (Albany NY), 12(18), 18765.
La dipendenza patologica è una condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione.
Negli ultimi anni questa definizione è stata usata anche per indicare quelle forme di comportamento compulsivo che non implicano necessariamente il ricorso ad una sostanza, in quanto l’effetto gratificante e ricercato è il comportamento stesso. Tra le dipendenze comportamentali, il disturbo da gioco d’azzardo è stato incluso nel DSM-5 della American Psychiatric Association nella sezione dedicata alle dipendenze patologiche.
Altre dipendenze comportamentali (New Addiction) a cui si fa maggiormente riferimento sono:
Una dipendenza patologica può essere caratterizzata da una serie di tratti distintivi quali:
Le linee guida e in genere la letteratura internazionale, considerano l’approccio cognitivo comportamentale, individuale e di gruppo, come il più efficace per il trattamento delle dipendenze patologiche. Tale trattamento è da intendersi integrato con la terapia farmacologica, qualora fosse necessario, con l’intervento sulla famiglia, eventualmente in collaborazione con altri servizi territoriali. Altri interventi efficaci mirati a ridurre la sofferenza psicologica indotta dalla dipendenza patologica sono i protocolli specifici della DBT (Terapia Dialettico Comportamentale), della Mindfulness, della MCT (Terapia Metacognitiva) e della REBT (Terapia Razionale Emotiva).
Bibliografia:
Il Disturbo borderline di personalità (DBP) è un disturbo di personalità caratterizzato da instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore, da una marcata impulsività e difficoltà ad organizzare in modo coerente i propri pensieri, che si manifesta entro la prima età adulta. Tra le cause del disturbo borderline di personalità, la letteratura evidenzia la presenza di un ambiente invalidante e fattori genetico-temperamentali che predisporrebbero la persona allo sviluppo della disgregolazione emotiva.
Come si manifesta il disturbo borderline di personalità.
Le persone con disturbo borderline di personalità presentano una percezione e un’immagine di sé marcatamente e persistentemente instabile. La regolazione degli stati emotivi risulta difficile e spesso le persone tendono ad agire in modo impulsivo senza prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Gli individui con disturbo borderline di personalità mostrano una marcata instabilità emotiva ed affettiva, alternando momenti di tranquillità a sentimenti di vuoto, tristezza, rabbia o senso di colpa. Sono portati a compiere gesti rischiosi (guidare in modo spericolato, avere rapporti sessuali a rischio, utilizzare sostanze stupefacenti) e in situazioni di forte stress emotivo tendono a reagire in modo aggressivo e fisico, faticando a inibire comportamenti inappropriati. Le relazioni interpersonali risultano essere instabili e intense e caratterizzate dall’alternarsi di iperidealizzazione e svalutazione della persona. Possono manifestare inoltre, stati di ideazione paranoide transitoria associata allo stress, o gravi sintomi dissociativi.
Le linee guida NICE (National Institute for Health and Care Excellence) si propongono di sviluppare un modello multidisciplinare per il trattamento del disturbo borderline. Per quel che concerne il trattamento, consigliano di lavorare in maniera collaborativa con le persone con BPD per sviluppare la loro autonomia e promuovere la capacità di scelta, anche durante le crisi, incoraggiandole a considerare le diverse opzioni di trattamento e le scelte di vita a disposizione.
Il trattamento più efficace per la cura di questo disturbo è la psicoterapia individuale, eventualmente affiancata dalla farmacoterapia. I trattamenti efficaci per il Disturbo Borderline di Personalità includono “terapie specializzate” come:
Terapia Dialettico Comportamentale (DBT – Linehan, 1993): trattamento ad orientamento cognitivo-comportamentale integrato validato con studi randomizzati controllati. Il trattamento si sviluppa su due livelli: trattamento individuale e il trattamento di gruppo. Nel trattamento individuale si lavora sui vissuti del paziente; nel trattamento di gruppo vengono insegnate specifiche abilità (abilità di regolazione emotiva, abilità di mindfulness) utili a favorire una gestione più efficace di situazioni problematiche e degli stati di sofferenza.
Schema Focus Therapy (SFT – Young et al., 2006): trattamento che integra l’approccio cognitivo-comportamentale con elementi derivati dalla teoria dell’attaccamento, dalla Gestalt, da terapie interpersonali e psicodinamiche. Secondo quest’approccio, nel paziente borderline sarebbero attivi degli schemi disadattivi precoci e delle strategie di padroneggiamento delle difficoltà che darebbero origine ad altri specifici schemi.
Terapia Basata sulla Mentalizzazione (MBT – Bateman e Fonagy, 2004, 2016) di derivazione psicodinamica, è stato applicato finora solo su pazienti in strutture di semiricovero. Secondo gli autori, la difficoltà principale di chi soffre di disturbo borderline è quella di mentalizzazione, cioè la capacità di rappresentarsi gli stati mentali propri e altrui, di spiegarsi il comportamento e di prevederlo. Questa terapia, dunque, è volta all’incremento della capacità di mentalizzazione dei pazienti.
Terapia cognitivo-analitica di Ryle è un trattamento che integra l’orientamento cognitivo con quello psicoanalitico. Si basa sulla ricostruzione e sul padroneggiamento delle immagini di sé e dell’altro e delle loro transizioni.
Terapia metacognitiva interpersonale (TMI) si concentra primariamente sulla regolazione di stati mentali problematici che si attivano sia in seduta che fuori. Dopo di che vengono insegnate strategie di mastery, o di regolazione emotiva, che possono aiutare il paziente a gestire in modo più funzionale lo stato problematico. Altro aspetto centrale nel trattamento del disturbo borderline di personalità secondo l’approccio metacognitivo interpersonale è il lavoro sulle disfunzioni metacognitive che includono, oltre alla disregolazione emotiva, il deficit d’integrazione e il deficit di differenziazione
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
In Dimaggio, G., Semerari, A. (a cura di) (2003). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazioni, cicli interpersonali. Edizioni Laterza.
SINTESI DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE E DELLE LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO DEL DISTURBO BORDERLINE E ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ, Cognitivismo clinico (2021) 18, 1, 41-6
Nelle persone affette da questi disturbi, i sintomi somatici che procurano disagio sono accompagnati da credenze e comportamenti disfunzionali che rafforzano stati emotivi negativi.
Possono svilupparsi diverse tipologie di disturbo (DSM-5):
Trattamento
All’interno delle linee guida NICE (National Institute for Health and Care Excellence) esistono studi che hanno valutato positivamente il trattamento cognitivo-comportamentale, in particolare CBT standard, EMDR e Mindfullness.
Bibliografia
I Disturbi Dissociativi rappresentano una patologia costituita principalmente da una mancata integrazione tra coscienza, pensieri, identità, memoria, rappresentazione corporea e comportamento.
Il manuale DSM-5 ne prevede diverse categorie:
TRATTAMENTO
Essendo stata verificata una stretta correlazione tra questi disturbi e la presenza di esperienze traumatiche pregresse non elaborate, i trattamenti più efficaci, oltre a quello farmacologico, sono:
Cenni bibliografici per ulteriori approfondimenti:
Il disturbo antisociale di personalità si manifesta con un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che si esprime fin dall’età di 15 anni e continua sino all’età adulta. La prevalenza del disturbo antisociale di personalità nella popolazione generale è pari al 3% nei maschi e all’1% nelle femmine.
Come si manifesta il disturbo antisociale di personalità
Le persone con disturbo antisociale di personalità mostrano un’incapacità a conformarsi alle norme, legalmente o culturalmente stabilite di comportamento etico. Sono spesso disoneste e manipolative per profitto o piacere personale. Tendenzialmente impulsive, non provano rimorso per le proprie azioni, mostrano, infatti, scarso senso di colpa. La persona con disturbo antisociale mostra insensibilità e mancanza di preoccupazione per i sentimenti o i problemi altrui. I rapporti interpersonali sono transitori, superficiali e caratterizzati da antagonismo. Le emozioni maggiormente sperimentate sono la rabbia, il disprezzo, l’umiliazione, la noia e l’invidia. L’atteggiamento fondamentale è d’indifferenza e distacco. Mancano di empatia verso i sentimenti e la sofferenza degli altri, mostrando difficoltà nel processare le informazioni emozionali e rispondere empaticamente agli altri. Nei rapporti sessuali possono essere irresponsabili e sfruttare il loro partner. Le persone con disturbo antisociale di personalità tendono inoltre ad avere un’alta opinione di se stessi e credere di meritare favoritismi e facili gratificazioni. La fiducia in se stessi non è fondata su una valutazione positiva di sé, ma sulla diffidenza verso gli altri e il mondo, considerati potenzialmente danneggianti, umilianti e frustranti.
Il trattamento del disturbo antisociale di personalità.
Le linee guida NICE (National Institute for Health and Care Excellence) raccomandano: interventi mirati specificamente al disturbo antisociale di personalità; il trattamento e la gestione dei sintomi e comportamenti associati , come l’impulsività e l’aggressività; il trattamento di disturbi concomitanti come la depressione e l’abuso di droghe; la gestione del comportamento antisociale e lesivo della altrui incolumità.
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) individuale è di recente applicazione e sembra essere efficace. Anche la terapia cognitivo-comportamentale basata sul gruppo aiuta ad affrontare problemi come impulsività, difficoltà interpersonali e comportamento antisociale e può facilitare la riduzione di comportamenti offensivi.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
Greco, R., & Grattagliano, I. (2014). UTILITÀ DIAGNOSTICA DEL DISTURBO ANTISOCIALE E PSICOPATICO DI PERSONALITÀ. PROPOSTE E REVISIONI DEL DSM-V. Cognitivismo Clinico, 11(1).
Giuseppe Nicolò et al. (2021). SINTESI DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE E DELLE LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO DEL DISTURBO BORDERLINE E ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ; Cognitivismo clinico 18, 1
Il Disturbo Bipolare è un disturbo complesso nel quale si osserva l’alternanza di fasi depressive seguite da fasi ipomaniacali o maniacali. Generalmente le fasi depressive durano per un tempo maggiore rispetto alle fasi maniacali o ipomaniacali. La transizione da una fase all’altra è in alcuni casi rapida ed immediata mentre in altri casi è intervallata da un periodo di umore normale.
Le fasi depressive del disturbo non si discostano molto dagli episodi depressivi della depressione maggiore unipolare e sono caratterizzate da umore deflesso, perdita di interesse, sentimenti di inutilità e conseguenti difficoltà del sonno, dell’appetito, di concentrazione, ecc.
Le fasi maniacali o ipomaniacali invece sono caratterizzate da umore elevato, sensazioni di onnipotenza, pensieri che si succedono rapidamente ed un comportamento che può essere iperattivo, caotico. L’energia del paziente bipolare durante queste fasi risulta essere eccessiva al punto da non sentire la necessità di mangiare o dormire; si presentano comportamenti impulsivi quali eccessive spese, comportamenti pericolosi o veri e propri disturbi del controllo degli impulsi.
La combinazione di queste due fasi consente di diagnosticare 3 tipi di disturbo bipolare:
– Il disturbo bipolare di tipo I: è caratterizzato dalla presenza, nell’arco della vita del paziente, di un episodio maniacale, a prescindere dalla presenza o meno di altri episodi depressivi o ipomaniacali, che tuttavia si associano frequentemente agli episodi di mania.
– Il disturbo bipolare di tipo II: è caratterizzato dalla presenza, nell’arco della vita del paziente, da uno o più episodi depressivi maggiori accompagnati da almeno un episodio ipomaniacale.
– Il disturbo ciclotimico o ciclotimia: è caratterizzato dall’alternanza di episodi di depressione e ipomaniacali di lieve intensità ma con elevata frequenza, che portano a una sostanziale lunga ed ininterrotta fase di malattia della durata di almeno due anni, con cambiamenti comportamentali che provocano notevoli complicazioni a livello psicosociale.
Trattamento
La terapia del disturbo bipolare non può prescindere da un trattamento farmacologico, al quale viene associato un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale volte a ridurre la frequenza e la gravità degli episodi maniacali e depressivi, nonché a prevenire le ricadute future.
Il trattamento CBT si pone come obiettivo quello di portare il paziente, tramite psicoeducazione ad individuare precocemente i sintomi, apprendere strumenti utili per affrontare gli episodi maniacali e depressivi, migliorare l’aderenza al trattamento farmacologico e ridurre i fattori di stress che possono poi contribuire agli squilibri dell’umore.
Bigliografia
Il disturbo d’ansia generalizzata (GAD) è un disturbo inserito nel DSM-5, all’interno del capitolo dedicato ai disturbi d’ansia, caratterizzato da uno stato ansioso tendenzialmente costante che porta a preoccupazioni sproporzionate ed incongrue in diversi ambiti di vita del paziente. Rispetto ad altri disturbi d’ansia, come ad esempio la fobia sociale o il disturbo da attacchi di panico, che sono spesso riconducibili a preoccupazioni specifiche e circoscritte, nel GAD le preoccupazioni non riguardano un tema specifico ma sono estese ai diversi ambiti della vita del paziente.
I sintomi principali del disturbo d’ansia generalizzata sono:
Possono inoltre comparire segni e sintomi fisici come:
Tali segni sono normali in certe situazioni di stress o in particolari periodi di vita, se transitori, ma costituiscono un disturbo d’ansia generalizzata quando si manifestano tre (o più) di questi sintomi con frequenza quasi giornaliera, in modo continuativo per almeno sei mesi.
Ne risulta che l’individuo ha difficoltà a controllare la preoccupazione, manifesta un significativo disagio e una compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo, nella famiglia e nelle aree più importanti della sua vita.
Tra le possibili cause e fattori di rischio per il disturbo d’ansia generalizzata troviamo:
Trattamento
All’interno delle linee guida NICE (National Institute for Health and Care Excellence) esistono studi che hanno valutato positivamente il trattamento cognitivo-comportamentale nel Disturbo d’Ansia Generalizzato, in particolare la CBT standard e l’MCT (Terapia Metacognitiva), hanno evidenziato maggiori prove di efficacia.
Bibliografia
L’ansia sociale è un disturbo comune, in cui il soggetto teme che le proprie prestazioni lo possano esporre a valutazioni negative da parte degli altri.
Il Disturbo d’Ansia Sociale è una paura o ansia marcata relativa a una o più situazioni sociali nelle quali l’individuo è esposto al possibile esame degli altri. Gli esempi comprendono interazioni sociali (es. avere una conversazione), essere osservati (es. mentre si mangia o si beve) ed eseguire una prestazione di fronte ad altri (es. fare un discorso).
Il concetto di paura del giudizio altrui è l’aspetto centrale della fobia sociale. Gli individui con Ansia Sociale temono di essere osservati dagli altri, giudicati come soggetti inadeguati e ridicoli.
Le emozioni che caratterizzano tale disturbo sono: l’ansia che diventa un pericolo (“l’ansia mi farà fare una brutta figura”) e la vergogna come fallimento relativo allo specifico scopo della buona immagine sociale.
I sintomi del Disturbo d’Ansia Sociale sono:
È possibile che la fobia sociale sia specifica ovvero circoscritta a situazioni sociali specifiche (come parlare o esibirsi in pubblico) oppure che sia generalizzata, ovvero che il disturbo sia attivato dalla maggior parte, se non da tutte le situazioni sociali.
Trattamento
Le Linee Guida NICE consigliano a livello psicoterapeutico per il trattamento di questo disturbo la Terapia Cognitivo Comportamentale poiché ha evidenziato prove di efficacia. In particolare il modello di Clark e Wells (1995), basato in parte sul modello metacognitivo si prefigge come scopo quello di portare il paziente a spostare il focus attentivo su ciò che succede intorno a sè e non sulle proprie sensazioni, emozioni o sui propri pensieri.
Bibliografia
Con il termine depressione ci si riferisce ad uno qualsiasi dei diversi disturbi depressivi. Il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) ne distingue alcuni sulla base di sintomi specifici:
La depressione è un disturbo che si caratterizza per la presenza di umore deflesso e frequenti e intensi stati di tristezza grave e persistente, mancanza di motivazione, poca voglia di vivere, perdita di interesse o piacere nelle attività, pensieri negativi su di sé e sul futuro.
La condizione depressiva è accompagnata anche da un correlato somatico e psicomotorio caratterizzato da una diminuzione o aumento del peso, agitazione o rallentamento psicomotorio e la presenza di insonnia.
Trattamento
Il trattamento combinato tra farmacologia e psicoterapia è la scelta migliore per la cura dei disturbi depressivi.
Nel corso degli anni numerosi studi hanno evidenziato come la psicoterapia Cognitivo–Comportamentale sia il miglior trattamento a livello psicoterapeutico perché riesce a ridurre significativamente i sintomi, migliorando la qualità della vita del paziente e diminuendo significativamente la possibilità di ricadute.
Il trattamento si propone sostanzialmente di intervenire inizialmente a livello comportamentale, strutturando un diario settimanale che consente di poter tener traccia del livello di attività del paziente durante le settimane ed inserendo al suo interno, in accordo con il terapeuta, delle attività su ci impegnarsi.
Lo scopo di questa prima fase della terapia è quello di migliorare l’umore del paziente, per poi passare ad una seconda fase durante la quale si lavora sulla sfera cognitiva ed in particolare sulle distorsioni cognitive, che conducono ad un’interpretazione negativa della realtà. Infine, un altro aspetto importante all’interno del trattamento è costituito dalla prevenzione delle ricadute.
Bibliografia
L’attacco di panico è un episodio di ansia acuta, o paura intensa in risposta a qualcosa che viene percepito come un pericolo: tale paura insorge in modo improvviso, raggiunge rapidamente l’apice e si manifeste con breve durata, solitamente non superiore ai 10 minuti.
Si parla di Disturbo di Panico se gli attacchi di panico vengono sperimentati con una certa frequenza e in modo sistematico.
Gli attacchi di panico possono essere:
I sintomi che caratterizzano l’attacco di panico sono: palpitazioni, tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea o disturbi addominali, sensazioni di instabilità, di svenimento, derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire, parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio), brividi o vampate di calore.
Quando uno dei segnali corporei dell’attacco di panico viene esso stesso interpretato come una minaccia, il corpo reagisce aumentando i segnali della paura e si innesca in questo modo un circolo del panico che si fonda sulla “paura della paura”.
Il rischio è reagire evitando tutte le situazioni che possono attivare un attacco di panico oppure affrontare le situazioni solo se accompagnati da qualcuno. In questo modo si innesca un problema di agorafobia, intesa come la paura relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere difficile (o imbarazzante) allontanarsi, o nei quali può non essere disponibile aiuto in caso di un improvviso attacco di panico. Una delle conseguenze dell’agorafobia è quello di ridurre l’autonomia e rinunciare ad attività quotidiane piacevoli o utili per la soddisfazione personale.
L’agorafobia invece è caratterizzata dall’ansia di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante) allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto, in caso di attacco di panico. Le situazioni in cui si manifestano i timori agorafobici sono ad esempio l’essere fuori casa da soli, l’essere in mezzo alla folla o in coda, l’essere su un ponte, viaggiare in automobile o con altri mezzi di trasporto (ad esempio, treni o autobus).
In generale, la persona con agorafobia sembra particolarmente sensibile alla solitudine (intesa soprattutto come lontananza da persone o luoghi familiari), spazi aperti (le piazze ad esempio), e situazioni costrittive (luoghi chiusi e angusti ad esempio). Le situazioni temute vengono evitate (gli spostamenti vengono ridotti ad esempio), oppure sopportate con molto disagio o con l’ansia di avere un attacco di panico, e non di rado affrontate con la presenza di un compagno.
Trattamento
Nel trattamento del disturbo di panico con (o senza) agorafobia, la psicoterapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato ampiamente e scientificamente la propria efficacia.
Nel trattamento CBT del diturbo di panico la psico-educazione è un elemento fondamentale, che ha lo scopo di fornire al paziente informazioni in merito al panico e all’ansia, ricostruire il circolo vizioso del panico, e lavorare sulle interpretazione erronee delle sensazioni di ansia e panico. Successivamente vengono insegnate tecniche per la gestione dei sintomi dell’ansia e si utilizzano tecniche di esposizione graduale alle sensazioni e agli stimoli temuti ed evitati, volte ad eliminare i comportamenti di protezione.
Bibliografia
Il disturbo dipendente di personalità è caratterizzato da una necessità eccessiva di essere accuditi, che determina un comportamento di sottomissione e accondiscendenza per timore della separazione. Compare nella prima età adulta, è diagnosticato con maggiore frequenza nel sesso femminile, anche se alcuni studi hanno mostrato come la prevalenza negli uomini e nelle donne sia simile.
Come si manifesta il Disturbo Dipendente di personalità
Le persone con disturbo dipendente di personalità mostrano difficoltà a prendere decisioni quotidiane e hanno bisogno di un’eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni da parte di altre persone. Tali individui tendono a mostrare comportamenti passivi e sottomessi e necessitano che altre persone si assumano la responsabilità per i più importanti aspetti della vita. Poiché temono di perdere il supporto o l’approvazione degli altri, hanno spesso difficoltà a esprimere il loro disaccordo e a manifestare la rabbia per paura di perdere il sostegno dell’altro. Per mancanza di fiducia nel proprio giudizio e nelle proprie capacità presentano difficoltà ad intraprendere progetti personali o a fare cose autonomamente. Quando ricevono una critica o una disapprovazione, la considerano come una prova della loro incompetenza perdendo fiducia in se stessi. Pur di ottenere accudimento e sostegno dagli altri, le persone con disturbo dipendente di personalità si offrono per svolgere compiti spiacevoli. Al termine di una relazione stretta tendono a cercare subito un’altra, in modo da ricevere supporto o accudimento di cui sentono di avere bisogno, e far fronte all’immagine di se come incapace di provvedere a se stesso da solo. Temono l’abbandono, la solitudine, la sofferenza che si cela dietro il percepirsi incapaci ed inetti e mostrano preoccupazione irrealistica di essere lasciati a prendersi cura di se stessi.
Il trattamento del disturbo dipendente di personalità
La terapia del disturbo dipendente di personalità è prevalentemente psicoterapeutica con un eventuale supporto farmacologico.
I trattamenti utilizzati sono: la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI). L’obiettivo più importante del trattamento è aiutare la persona a sviluppare una buona autonomia e un buon senso di efficacia personale nel riconoscere i propri pensieri, emozioni e bisogni.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
Dimaggio, G., Ottavi, P., Popolo, R., Salvatore, G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento. Raffaello Cortina Editore.
Il disturbo evitante di personalità si manifesta con un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo. Compare entro la prima età adulta ma il comportamento evitante spesso inizia nella infanzia con timidezza, isolamento, timore degli estranei e delle situazioni nuove.
Come si manifesta il disturbo evitante di personalità
Il disturbo evitante è un disturbo della personalità caratterizzato da sentimenti di profonda inadeguatezza e ipersensibilità alle valutazioni negative, che determinano un modello pervasivo d’inibizione sociale. Le persone con questo disturbo temono di essere ridicolizzati dagli altri, rifiutati o criticati: per questa ragione sono portati a evitare situazioni sociali nelle quali occorre interagire con gli altri, limitando nel tempo il normale sviluppo delle abilità sociali. Le attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale tendono ad essere evitate per il timore di essere criticati, disapprovati e rifiutati. Sono riluttanti nell’entrare in relazione con persone, a meno che non siano certo di piacere. Tendono ad essere inibiti nelle relazioni intime per timore di essere umiliati o ridicolizzati e mostrano continue preoccupazioni di essere criticati o rifiutati in situazioni sociali. Si vedono come socialmente inette, personalmente non attraenti, o inferiore agli altri, e mostrano sentimenti di inadeguatezza in situazioni interpersonali nuove. Gli individui che sviluppano un disturbo evitante di personalità possono diventare progressivamente più timidi ed evitanti durante l’adolescenza e la prima età adulta, quando le relazioni sociali con persone nuove diventano particolarmente importanti. Per evitare di ricevere un giudizio negativo che confermerebbe l’idea di essere inadeguato e non amabile tengono gli altri a distanza. Provano disagio e vergogna per la loro diversità che viene letta come inferiorità e provano dolore per un senso di non appartenenza.
L’evitamento è una strategia attiva per difendersi dall’umiliazione e dal rifiuto determinando ritiro ed inibizione sociale.
Il trattamento del disturbo evitante di personalità
La cura del disturbo evitante di personalità è prevalentemente psicoterapeutica con un eventuale supporto farmacologico. I trattamenti di comprovata efficacia per la cura del disturbo evitante di personalità sono: la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI).
La Terapia Cognitivo Comportamentale interviene sull’analisi dei pensieri automatici disfunzionali e i cicli interpersonali , che sono alla base del disturbo. Una volta identificati e condivisi con il paziente, i pensieri sono messi in discussione attraverso la ristrutturazione cognitiva. Successivamente l’obiettivo sarà quello di incrementare le capacità di collegare i pensieri e le emozioni che si provano alle situazioni esterne portando il paziente con disturbo evitante di personalità a sperimentare nuove strategie per padroneggiare le difficoltà relazionali efficaci.
La Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) prevede un modello di terapia semi strutturato arricchito da un set di tecniche esperienziali utilizzate in diversi momenti della terapia. Lo scopo è di esplorare episodi narrativi autobiografici per ricostruire lo schema, interrompere i coping e le disfunzioni metacognitive per sviluppare una maggiore autoriflessività e consolidare o costruire le parti sane di sé, sperimentando nuovi comportamenti e nuovi modi di stare in relazione
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
Aquilar, S. (2012). Le relazioni tra disturbo evitante e disturbo narcisistico di personalità: specularità, similarità e possibili dimensioni condivise.
Il disturbo istrionico di personalità è caratterizzato da un quadro pervasivo di emotività eccessiva, ricerca di attenzioni, approvazione e sostegno dagli altri, mediante comportamenti celatamente o apertamente seduttivi, che si manifesta entro la prima età adulta ed è presente in diversi contesti.
I sintomi del disturbo istrionico di personalità
Le persone con disturbo istrionico di personalità si sentono a disagio o non apprezzati in situazioni in cui non sono al centro dell’attenzione per cui spesso si comportano in modo brillante, seduttivo e teatrale, cercando di attirare l’attenzione su di sé. L’aspetto e il comportamento sono spesso eccessivamente provocanti o seduttivi e mostrano un’eccessiva preoccupazione per la loro attrattività fisica. L’espressione delle emozioni può essere drammatica e superficiale, tanto che spesso la persona con disturbo istrionico di personalità risulta non autentica e tende a considerare le relazioni più intime di quanto non siano in realtà. Chi soffre di disturbo istrionico di personalità è particolarmente influenzabile e suggestionabile, per questo può uniformarsi all’opinione e allo stato d’animo dell’altro. Inconsapevolmente recitano una parte (per es. la vittima o la principessa) e se non sono al centro dell’attenzione si deprimono. L’attenzione sull’approvazione altrui piuttosto che sui propri vissuti comporta la tendenza a considerarsi solo in funzione degli altri. Le persone con disturbo istrionico di personalità hanno una marcata dipendenza affettiva, ma in realtà presentano difficoltà a raggiungere una vera intimità emotiva nelle relazioni sentimentali o sessuali con l’altro.
Il trattamento del Disturbo Istrionico di Personalità
La psicoterapia è lo strumento principale per trattare il Disturbo Istrionico di Personalità, poiché attraverso di essa la persona va a modificare sia il comportamento interpersonale sia un cambiamento dello stile di pensiero. Gli approcci terapeutici più indicati sono la Schema Therapy, la Terapia Dialettico Comportamentale (DBT) e la Terapia basata sulla Mentalizzazione (MBT).
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
In Dimaggio, G., Semerari, A. (a cura di) (2003). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazioni, cicli interpersonali. Edizioni Laterza.
Il disturbo narcisistico di personalità è contraddistinto da un pattern pervasivo di grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia e di sensibilità nei confronti degli altri.
Sintomi del disturbo narcisistico di personalità
Le persone con disturbo narcisistico di personalità hanno un senso grandioso di importanza e di autostima, sovrastimano le loro capacità ed esagerano i loro talenti. Possono presumere che gli altri attribuiscano loro lo stesso valore e risultare sorpresi o delusi quando non ricevono le lodi che sentono di meritare. Generalmente mancano di empatia, sono incapaci di riconoscere i sentimenti e i bisogni degli altri, possono essere spesso invidiosi degli altri o credere che gli altri li invidino. Tendono a mostrare atteggiamenti arroganti e presuntuosi svalutando i successi o i contributi dell’altro. La vulnerabilità dell’autostima può rendere tali individui molto “sensibili” alle ferite dovute a critiche o a frustrazioni. La critica può essere vissuta con profonda umiliazione , in alternativa, con rabbia e sdegno. Talvolta la paura di vivere queste esperienze può indurre le persone al ritiro sociale.
Gli individui con disturbo narcisistico di personalità ritengono di poter essere capiti e di dover frequentare soltanto persone speciali, prestigiose o di elevata condizione sociale o intellettuale. Considerandosi persone speciali e superiori hanno la sensazione che tutto gli sia dovuto e si aspettano di ottenere trattamenti di favore, nonché la soddisfazione immediata dei loro bisogni e delle loro priorità. Questa idea di sé può sfociare nella tendenza allo sfruttamento ed alla manipolazione interpersonale. Le persone con disturbo narcisistico di personalità tendono a fare amicizie o intraprendere relazioni sentimentali esclusivamente se hanno la certezza che l’altro possa soddisfare dei propri scopi.
Il trattamento del disturbo narcisistico di personalità
Lo strumento più adatto per il trattamento del disturbo narcisistico di personalità risulta essere il trattamento psicoterapeutico, eventualmente associata a terapia farmacologica. Gli individui con disturbo narcisistico di personalità intraprendono un trattamento psicoterapeutico nel momento in cui sviluppano stati depressivi che non riescono a sostenerli emotivamente. I sintomi di ansia e depressione e altri sintomi emotivi costituiscono il primo obiettivo del trattamento.
La terapia cognitivo comportamentale (CBT) prevede interventi volti a identificare modalità di pensiero disfunzionali e a sostituirle con altre più adattive e realistiche cosi da aiutare la persona a limitare l’importanza esagerata che si attribuiscono e a sostituirla con convinzioni alternative.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
In Dimaggio, G., Semerari, A. (a cura di) (2003). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazioni, cicli interpersonali. Edizioni Laterza.
Il disturbo ossessivo compulsivo di personalità è uno dei disturbi di personalità più diffusi e più resistenti al cambiamento caratterizzato da: perfezionismo, preoccupazione eccessiva per l’ordine e controllo mentale e interpersonale. Le persone affette da questo disturbo sono spesso rigide, moralmente intransigenti e sentono la necessità di mantenere un controllo su ogni aspetto.
Come si manifesta il disturbo ossessivo compulsivo di personalità.
Le persone con disturbo ossessivo compulsivo di personalità presentano tendenza al perfezionismo, elevati standard prestazionali, eccessiva dedizione per il lavoro e per la produttività, attenzione minuziosa per dettagli, procedure e liste. Tendono a essere rigide, hanno difficoltà a delegare le attività in quanto ritengono che altre persone non siano in grado di svolgere il compito bene quanto loro, possono essere avare e sentono il bisogno di controllare il denaro al fine di prevenire catastrofi future. Manifestano, un’eccessiva preoccupazione per l’ordine, possono essere ostinate, indecise, inflessibili, hanno difficoltà a esprimere le proprie emozioni e una tendenza ad essere molto ruminativi. Le persone con questo disturbo sono individui spesso troppo coscienziosi, scrupolosi e intransigenti in tema di moralità, etica e valori. Tendono a seguire rigidi principi morali e non riuscire a perdonare a se stessi o agli altri quando deviano o commettono errori rispetto al quanto stabilito. Le persone che soffrono di disturbo ossessivo compulsivo di personalità possono non riuscire a gettare via oggetti consumati o di nessun valore, anche quando non hanno un vero e proprio significato affettivo. Mostrano rigidità e testardaggine e sono così preoccupati di fare le cose perfettamente che tendono a non ascoltare le opinioni altrui anche se sono migliori o più efficaci delle loro.
I trattamenti del Disturbo Ossessivo Compulsivo di personalità
I trattamenti efficaci per la cura del disturbo ossessivo compulsivo di personalità sono la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) associati a terapia farmacologia quando necessaria.
La Terapia Cognitivo Comportamentale(CBT) si pone come obiettivo fondamentale quello di favorire i cambiamenti necessari a condurre uno stile di vita più flessibile e sereno. L’obiettivo è quello di imparare a riconoscere e accettare le proprie emozioni e i propri stati d’animo, riducendo l’autocritica e l’auto colpevolizzazione rispetto a stati mentali positivi.
Il disturbo ossessivo compulsivo è caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi (ossessioni) che spesso producono ansia e sono accompagnati da rituali (compulsioni) volti a ridurla.
Il disturbo ossessivo compulsivo è caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi e ripetitivi (ossessioni) che generano ansia e che in alcuni casi sono seguiti da comportamenti, di durata considerevole (compulsioni) volti a neutralizzare le ossessioni e a diminuire i livelli di ansia, che generano forte disagio e sofferenza. La persona che soffre di disturbo ossessivo compulsivo riconosce che le proprie ossessioni e compulsioni sono assurde ed eccessive.
Trattamento
La psicoterapia cognitivo-comportamentale costituisce il trattamento psicoterapeutico di elezione per la cura dei disturbi ossessivi. In alcuni casi questo trattamento viene integrato a quello farmacologico.
La tecnica più importante all’interno dell’approccio cognitivo-comportamentale è l’ERP esposizione e prevenzione della risposta (rituali). Oltre ad essa la psicoterapia cognitivo-comportamentale si avvale di nuovi approcci terapeutici per il Disturbo Ossessivo Compulsivo come la terapia metacognitiva (MCT), la Mindfulness, l’Acceptanceand Commitment Therapy (ACT) e l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).
Bibliografia
Il disturbo paranoide di personalità è caratterizzato da un modello pervasivo di diffidenza ingiustificata e dal sospetto verso gli altri che riguarda l’interpretazione delle loro motivazioni come dannose. L’individuo che presenta una personalità paranoide diffida degli altri e ritiene che gli altri intende danneggiarlo o ingannarlo.
COME SI MANIFESTA IL DISTURBO PARANOIDE DI PERSONALITÀ
La persona con disturbo paranoide di personalità sospetta che l’altro lo stia ingannando, sfruttando o ferendo. Dubita senza giustificazione dell’affidabilità dei propri amici e colleghi e per evitare la possibilità di essere attaccato, si chiude in se stesso evitando di confidarsi con gli altri oppure si presenta molto vigile e pronto a contrattaccare con rabbia. Può presentarsi molto polemico e aggressivo o può lamentarsi costantemente. La sensazione dolorosa di sentirsi escluso, non voluto e quindi emarginato è forte e può provocare profonda ansia e tristezza. Il soggetto con disturbo paranoide di personalità tende a mascherare le emozioni con un atteggiamento di rigida razionalità e testardaggine anche se l’ostilità di fondo crea inevitabilmente delle risposte aggressive. L’incapacità di accettare le critiche e collaborare con gli altri può mettere a dura prova la permanenza in un posto di lavoro. Chi soffre di disturbo paranoide di personalità risulta piuttosto geloso e dubita fortemente della fedeltà del partner. In presenza di tale disturbo possono verificarsi anche brevi episodi psicotici (allucinazioni, deliri di persecuzione, difficoltà comunicative) in risposta a eventi stressanti, ma solo per pochi minuti o qualche ora.
IL TRATTAMENTO del disturbo paranoide di personalità
Il trattamento “utile” per il disturbo paranoide di personalità risulta essere la Terapia cognitivo Comportamentale (CBT). L’intervento ha la finalità di abbassare lo stato di vigilanza tipico della personalità paranoide, attraverso il riconoscimento degli schemi di pensiero adottati, le emozioni collegate e le sue strategie di risoluzione dei problemi.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
In Dimaggio, G., Semerari, A. (a cura di) (2003). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazioni, cicli interpersonali. Edizioni Laterza.
Il disturbo schizoide di personalità è caratterizzato da un quadro pervasivo di distacco dalle relazioni sociali e una gamma ristretta di espressioni emotive in situazioni interpersonali. Questo pattern è presente in svariati contesti e si riscontra con una prevalenza del 3,1%.
Come si manifesta il disturbo schizoide di personalità
Nel disturbo schizoide di personalità, la capacità di relazionarsi con gli altri significativamente è limitata. Le persone con disturbo schizoide di personalità sembrano non desiderare l’intimità nelle relazioni, appaiono indifferenti alla possibilità di stabilire relazioni affettive e non sembrano trarre molta soddisfazione dal far parte di una famiglia o di un altro gruppo sociale.
Preferiscono attività individuali, il contatto con gli altri è fortemente limitato,risultano incapaci a leggere le proprie e altrui emozioni. Spesso chi soffre di disturbo schizoide di personalità non ha amici stretti o confidenti fidati, a eccezione dei famigliari. Sembrano indifferenti all’approvazione e alle critiche altrui. Mostrano un aspetto “mite” senza reattività emotiva visibile, spesso non ricambiano gesti o espressioni del volto, come sorrisi o cenni del capo. Tendono a provare un senso di lontananza, freddezza verso gli altri. Questi individui sono infatti, spesso descritti come distaccati, appartati e amanti della solitudine. Possono provare un senso di vuoto e di una esistenza priva di significato.
Il trattamento del disturbo Schizoide di Personalità
Le persone con questo disturbo difficilmente si rivolgono a un professionista a meno che non stiano vivendo un periodo di particolare stress della loro vita. Il trattamento di prima scelta per il disturbo schizoide di personalità è la psicoterapia individuale ad orientamento Cognitivo Comportamentale e la terapia di gruppo, che fornisce un ambiente sicuro in cui poter incontrare gli altri e migliorare le abilità sociali attraverso l’esposizione. La terapia avrà come scopi principali l’apprendimento di abilità sociali di base e il riconoscimento delle emozioni proprie e degli altri.
Il trattamento farmacologico non risulta molto utile nel lungo periodo ed è indicato per intervenire sui momenti di ansia eccessiva.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
Aaron T. Beck, M.D. Arthur Freeman (1998). Terapia cognitiva dei disturbi di personalità. Mediserve
Il disturbo schizotipico di personalità è caratterizzato da un modello pervasivo di intenso disagio e ridotta capacità di relazioni strette, dalle alterazioni del pensiero e delle percezioni e dal comportamento eccentrico.
Il disturbo schizotipico può manifestarsi nella prima infanzia e nell’adolescenza, con solitudine, scarse relazioni con i coetanei e ansia sociale, rendimento scolastico non adeguato, ipersensibilità, pensieri e linguaggio strani e fantasie bizzarre. Colpisce circa il 3% della popolazione con una maggiore associazione di casi tra i parenti biologici dei pazienti schizofrenici.
Come si manifesta il disturbo schizotipico di personalità
Le persone con disturbo schizotipico di personalità ha un comportamento insolito, eccentrico, presente in un ampio range di circostanze interpersonali. Tendono a interpretare in modo scorretto gli avvenimenti casuali e gli eventi esterni come se avessero un significato particolare e specifico per la persona stessa. Possono essere superstiziosi o preoccupati per fenomeni paranormali, talvolta si credono capaci di far succedere le cose o di intuirle prima che le queste accadano. Spesso chi è affetto da disturbo schizotipico può essere eccessivamente sospettoso e avere un’ideazione paranoide: possono avere idee di riferimento, convinzioni strane o pensiero magico, esperienze percettive bizzarre e sospettosità o pensieri paranoidi, con insight ridotto o assente. L’emotività è impropria o limitata. La persona con disturbo schizotipico di personalità può sperimentare un’eccessiva ansia sociale e raramente ha amici stretti, anche sul piano lavorativo tendono a non avere relazioni sociali e interpersonali significative e difficilmente riescono a trovare lavoro o a mantenerlo nel tempo. Può apparire strana, inappropriata o eccessivamente rigida. Spesso si riscontra eccentricità nel modo di vestire, di acconciarsi i capelli e una tendenza a non conoscere o seguire le convenzioni sociali.
Possono inoltre andare incontro a episodi depressivi e/o psicotici e una certa percentuale di questi pazienti (circa il 12%)può sviluppare schizofrenia.
Il trattamento del disturbo schizotipico di personalità
Il trattamento per la cura dei sintomi del disturbo schizotipico di personalità può comprendere l’impiego di farmaci anti-psicotici e una terapia psicologica individuale a medio-lungo termine .
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) ha come primo obiettivo quello di aumentare i livelli di fiducia nell’altro, imparare a ridurre la percezione soggettiva di minaccia, a riconoscere le modalità di pensiero distorte, apprendere abilità sociali per ridurre la tensione e l’ansia nelle situazioni di interazione e modificare i comportamenti disfunzionali.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-5®). American Psychiatric Pub.
Aaron T. Beck, M.D. Arthur Freeman (1998). Terapia cognitiva dei disturbi di personalità. Mediserve.
La fibromialgia è stata classificata dall’OMS come malattia con sintomi e caratteristiche autonome solo nel 1992. La ragione è legata alla specificità della sindrome, che “non si vede” ma prevalentemente “si sente”. Il paziente appare in buona salute, ma fortemente sofferente e limitato nello svolgimento delle normali attività quotidiane, perché il suo male non induce infiammazione, non danneggia ossa, tendini, muscoli o altri tessuti e apparati, è soprattutto una sindrome dolorosa cronica.
La causa della fibromialgia è ancora sconosciuta, ma si ritiene che sia un insieme di fattori genetici, infettivi, ormonali, traumi fisici e psicologici a portare alla comparsa dei suoi sintomi. L’ipotesi è che a essere compromesso sia il modo in cui il cervello processa il dolore. In particolare, in chi soffre di fibromialgia la soglia del dolore sarebbe più bassa della norma a causa di un aumento della sensibilità cerebrale agli stimoli dolorosi. Il disturbo può comparire in modo graduale e aggravarsi con il passare del tempo, oppure può comparire dopo un evento scatenante come un trauma fisico, o uno stress psicologico.
Il sintomo principale della fibromialgia è un dolore diffuso e costante che interessa muscoli, cute, legamenti e tendini. La sofferenza fisica porta delle ripercussioni anche sotto il profilo cognitivo e neurologico. Vi è poi un corteo di manifestazioni cliniche associate quali astenia (indebolimento e stanchezza ingiustificate da uno sforzo fisico), rigidità muscolare, crampi, disturbi del sonno, gonfiori articolari, cefalee, sindrome dell’intestino irritabile, stanchezza cronica, nevralgie, dolori mestruali, problemi di memoria e alterazioni dell’umore.
Per diagnosticare la fibromialgia, il reumatologo effettuerà una digitopressione dei tender points, (punti elettivi di dolorabilità), localizzati nei muscoli, nei tendini o a livello delle prominenze ossee (il criterio diagnostico prevede che la dolorabilità si riscontri in almeno 11 dei 18 tender points) per capire se siamo di fronte alla fibromialgia.
TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO
A causa della comorbidità (ovvero di co-presenza di più patologie o di più diagnosi psicopatologiche nella stessa persona) e delle variabili psicosociali correlate all’insorgenza e al mantenimento della fibromialgia, il trattamento psicologico ha un posto centrale negli interventi multidisciplinari.
Uno studio condotto presso la Wayne State University (2017) evidenzia come la psicoterapia incoraggi l’analisi delle esperienze emotive correlate a traumi, conflitti e problemi di relazione, mostrando evidenze scientifiche sulla sua utilità per le persone affette da questa sindrome.
Una raccolta di studi, pubblicata nel 2020, sugli effetti benefici del trattamento psicoterapeutico per fibromialgici sostiene che tale percorso aiuta a:
Nel percorso di trattamento dei disturbi da dolore cronico, come quello fibromialgico, le reazioni cognitive e comportamentali al dolore sono fondamentali perché possono influenzare l’esperienza del dolore stessa.
Cenni bibliografici per approfondimenti
La fobia specifica è una paura intensa, persistente e duratura nei confronti di uno specifico stimolo (oggetto, animale, luogo, ecc.).
Una fobia è una marcata paura rispetto ad uno stimolo fobico (elemento che causa la paura). Si tratta di una manifestazione emotiva spropositata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia. L’individuo prova stati di ansia elevati nei confronti dello stimolo fobico tanto da fargli mettere in atto comportamenti di evitamento alla sola vista di esso. Le fobie specifiche si riferiscono ad attitudini, animali come cani, ragni ed insetti e aghi di siringhe; oppure ad elementi insoliti come suoni specifici o tonalità di colore.
I sintomi della fobia specifica sono:
Tipicamente chi soffre di fobia specifica, quando entra in contatto con lo stimolo fobico, entra in uno stato di maggiore attivazione fisiologica che genera uno stato di agitazione (tremori, palpitazioni, respirazione accelerata, bocca secca e nodo allo stomaco). La sintomatologia si allevia se la persona ha evitato lo stimolo. Al contrario, può verificarsi un abbassamento della pressione sanguigna fino a provocare svenimenti in persone che hanno fobie legate alla paura delle iniezioni, alla vista del sangue o ferite.
Trattamento
La psicoterapia cognitivo-comportamentale costituisce il trattamento psicoterapeutico di elezione per la cura delle fobie specifiche.
Tra le tecniche più importanti all’interno dell’approccio cognitivo-comportamentale è l’Esposizione, che può essere Graduata, Immaginativa o in Vivo; o le Tecniche di Rilassamento muscolare. Oltre ad essa la psicoterapia cognitivo-comportamentale si avvale di nuovi approcci terapeutici per le Fobie Specifiche come l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).
Bibliografia
Quando si parla di disturbi del sonno si fa riferimento a un gruppo di disturbi che possono incidere non solo sulla quantità di tempo o sulla qualità del sonno, ma anche sulla compromissione delle attività quotidiane a causa di un alterato e non soddisfacente ritmo sonno-veglia.
Come riporta il Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5, 2014) i disturbi del sonno si dividono in diverse tipologie: il disturbo da insonnia, il disturbo da ipersonnolenza, la narcolessia, i disturbi del sonno correlati alla respirazione, i disturbi dell’arousal del sonno REM, la sindrome da gambe senza riposo e il disturbo del sonno indotto da sostanze/farmaci.
Il disturbo del sonno più diffuso è il disturbo da insonnia.
Questo disturbo è caratterizzato dalla difficoltà ad addormentarsi ed iniziare il sonno, mantenere il sonno che è disturbato da frequenti risvegli e/o difficoltà a riaddormentarsi e risveglio precoce al mattino con conseguente difficoltà a riaddormentarsi.
L’alterazione del sonno è fonte di un significativo disagio che può compromettere le normali abitudini di vita e si verifica almeno tre volte a settimana per un periodo di almeno tre mesi e non è attribuibile agli effetti di una sostanza.
Oltre ai sintomi dell’insonnia ascrivibili principalmente alle ore notturne, non vanno dimenticati i disagi che si possono provare durante il giorno tra cui:
Il disturbo da insonnia può verificarsi in ogni momento della vita, anche se solitamente il primo episodio si verifica più comunemente tra i giovani adulti.
TRATTAMENTO
Le Linee guida europee per il Disturbo di Insonnia più interessanti riguardano il trattamento e l’iter terapeutico. La terapia cognitivo-comportamentale dell’Insonnia (CBT-I) viene considerata come il trattamento di prima linea per l’insonnia cronica in soggetti adulti di ogni età. La CBT-I è un intervento multi-componenziale effettuato sia individualmente che in gruppo in diverse sessioni (generalmente da 4 a 8), e che si articola in interventi di psicoeducazione sull’igiene del sonno, tecniche comportamentali (restrizione del sonno e controllo dello stimolo), di rilassamento e di terapia cognitiva la cui efficacia è stata testimoniata in meta-analisi di trial clinici controllati. Il trattamento farmacologico può essere somministrato solo in caso di inefficacia della CBT-I o nel caso in cui questa non possa essere disponibile per il paziente.
Cenni bibliografici per approfnodimenti
Le disfunzioni sessuali sono caratterizzate da un’anomalia del processo sottende il ciclo di risposta sessuale, o da dolore associato al rapporto sessuale.
I disturbi sessuali non sono conglobati in una stessa categoria ma appartengono ad un’area molto eterogenea. Nel DSM-5 tale area nosografica viene definita come “ disfunzioni sessuali ” e comprende i seguenti disturbi:
Le disfunzioni sessuali, pur nelle loro diverse caratteristiche cliniche, sono caratterizzate da un’anomalia nel processo che sottende il ciclo di risposta sessuale, o da dolore associato al rapporto sessuale. Il ciclo di risposta sessuale può essere suddiviso nelle seguenti fasi:
Le disfunzioni sessuali possono avere una causa fisica o psicologica. Nella maggior parte dei casi l’origine è psicologica, ma è fondamentale escludere eventuali cause organiche attraverso vari approfondimenti da valutare caso per caso, dopo una consulenza medica.
La persona che presenta disfunzione sessuale spesso si approccia all’intimità con pensieri ed emozioni congrue con un’area vissuta come problematica.
TRATTAMENTO
La psicoterapia cognitivo-comportamentale, individuale o di coppia, rappresenta un trattamento d’elezione (rispetto a trattamenti più invasivi come interventi chirurgici o cure farmacologiche) per le disfunzioni sessuali (Berner e Günzler, 2012; Günzler e Berner, 2012).
Il trattamento nel suo complesso prevede la concettualizzazione del caso, la ricostruzione personalizzata della curva del ciclo di risposta sessuale, la psicoeducazione, la ristrutturazione cognitiva ed un insieme di tecniche validate scientificamente che consistono in esercizi volti ad ottenere un ri-addestramento graduale alle abilità compromesse. Tali esercizi vengono concordati con il terapeuta sulla base degli obiettivi definiti con il paziente, tenendo conto delle caratteristiche e delle esigenze sia dell’individuo che della coppia.
Cenni bibliografici per approfondimenti
La schizofrenia e gli altri disturbi psicotici sono considerati gravi disturbi mentali che generano ripercussioni negative in vari settori di vita. Tutti i disturbi sono caratterizzati dalla presenza di uno o più dei seguenti sintomi: deliri, allucinazioni, pensiero (o eloquio) disorganizzato, comportamento motorio disorganizzato, sintomi negativi. Il decorso di tali disturbi può essere influenzato da una serie di fattori tra i quali l’istruzione, le competenze cognitive e sociali, il supporto familiare e sociale, la salute fisica (Davi, 2014).
L’esordio psicotico, nonostante appaia in maniera improvvisa, è preceduto da fasi prodromiche che durano mesi o anni e durante le quali avvengono una serie di modifiche fisiologiche e comportamentali.
Eventi che possono contribuire ad attivare un esordio psicotico sono: storie di traumi, abusi, trascuratezza, lutti, interruzione di una storia sentimentale, perdita di un lavoro, uso di sostanze e alcool. I primi sintomi prodromici dei disturbi psicotici includono stati ansiosi e depressivi, senso di confusione, irritabilità e diffidenza. Successivamente, si presentano i sintomi negativi (ritiro sociale, riduzione della motivazione e delle energie, rallentamento) e positivi (deliri ed allucinazioni). Oltre la presenza di comportamenti bizzarri, stereotipie e isolamento sociale possono manifestarsi modifiche nella percezione di sé e del mondo, cambiamenti nel sonno e nell’alimentazione. Dalle prime fasi del disturbo si manifesta una diminuzione delle capacità attentive e mnestiche e deterioramento delle funzioni cognitive. Tra i maggiori predittori di prognosi negative viene considerata la progressiva riduzione del funzionamento (Schultze-Lutter F. et al, 2015).
I disturbi psicotici elencati dall’ American Psychiatric Association nel DSM-5 sono:
TRATTAMENTO
Attualmente, sia in ambito ospedaliero che in community care, i farmaci antipsicotici sono il trattamento primario per la psicosi e la schizofrenia – scrive il NICE in un comunicato pubblicato sul sito – Ci sono evidenze consolidate sulla loro efficacia sia nel trattamento degli episodi psicotici acuti sia nella prevenzione delle ricadute nel tempo, in combinazione con interventi psicologici.
La seconda raccomandazione del NICE, infatti, sottolinea l’importanza di offrire agli adulti con psicosi o schizofrenia una terapia cognitivo-comportamentale per la psicosi (CBTp). LA CBTp, in combinazione con i farmaci antipsicotici, o da sola se il farmaco viene rifiutato, può migliorare i risultati come i sintomi psicotici. È auspicabile un approccio di ampio respiro, che combina diverse opzioni di trattamento su misura per le esigenze del singolo paziente.
Attualmente, solo il 5-15% delle persone con schizofrenia sono impegnate in una attività lavorativa – osserva il NICE, che raccomanda programmi di sostegno al lavoro per gli adulti con psicosi o schizofrenia che desiderano trovare occupazione o tornare a lavorare. La disoccupazione, infatti, può avere un effetto negativo sulla salute mentale e fisica degli adulti con psicosi o schizofrenia.
Gli standard di qualità includono anche raccomandazioni sull’erogazione di terapie d’intervento per i familiari o gli accompagnatori di adulti con psicosi o schizofrenia.
Cenni bibliografici per approfondimenti:
DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS E
DISTURBI CORRELATI A UN TRAUMA
Il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) è una patologia che può svilupparsi in una popolazione di sopravvissuti ad un evento traumatico.
Le cause dell’insorgenza del disturbo non sono del tutto chiare, ma molti studi evidenziano la presenza di uno squilibrio del sistema nervoso ,probabilmente causato da cambiamenti a livello dei neurotrasmettitori o di adrenalina, cortisolo che avvengono in seguito ad un evento traumatico. A causa di tale squilibrio l’informazione acquisita al momento dell’evento (immagini, suoni, emotività, sensazioni fisiche ecc…) verrebbe conservata a livello nel suo stato disturbante a tal punto che ogni stimolo attivante può far rivivere all’individuo lo stesso stato emotivo vissuto al momento dell’evento, con ripercussioni evidenti sul benessere psico-fisico.
I sintomi che possono essere ricondotti al Disturbo Post Traumatico da Stress (DSM-V) possono essere sintetizzati nelle seguenti categorie:
TRATTAMENTO
Lo psicoterapeuta esperto di PTSD ha il compito di effettuare una valutazione psicodiagnostica, per poi procedere alla concettualizzazione del problema condivisa con il paziente. Stabiliti gli obiettivi del trattamento, si procede ad un intervento mirato alla problemtatica, utilizzando approcci terapeutici validati scientificamente. I più efficaci sono:
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