Associazione Cognitivismo Clinico, Psicoterapia Formazione e Ricerca
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ll disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è uno dei disturbi comportamentali che emergono più frequentemente in età evolutiva e che presenta sintomi caratteristici ben evidenti nel contesto familiare e nel contesto scolastico. La caratteristica fondamentale del disturbo è la presenza di un persistente comportamento di disattenzione e/o un persistente comportamento di iperattività-impulsività.
Il comportamento di disattenzione si manifesta attraverso tempi di concentrazione ed attenzione molto bassi e limitati, difficoltà a seguire le istruzioni, facile distraibilità, difficoltà nella gestione e nell’organizzazione dei materiali e del tempo, frequenti errori nei compiti scolastici. Il comportamento di iperattività si manifesta attraverso un’eccessiva attività motoria, spesso presente in contesti non adeguati, eccessiva loquacità, difficoltà a giocare tranquillamente e continua irrequietezza.
Il comportamento di impulsività si manifesta quando le azioni vengono fatte frettolosamente e senza la presenza di progettazione e premeditazione. Vi è l’incapacità di ritardare la gratificazione per ottenere una ricompensa immediata, senza considerare il rischio e la pericolosità di quelle azioni nel contesto specifico. Tra i comportamenti impulsivi si evidenziano le continue interruzioni durante le conversazioni, l’intromissione in attività di adulti e coetanei e il prendere decisioni senza considerare le conseguenze.
Il disturbo si distingue e suddivide in 3 sottotipi:
Prevalentemente iperattivo-impulsivo, in cui si manifestano prevalentemente comportamenti di tipo iperattivo-impulsivo mentre i sintomi di disattenzione non raggiungono l’attenzione clinica o possono essere assenti;
Prevalentemente disattento, in cui i sintomi si manifestano tutti all’interno della categoria disattenzione e scarsa concentrazione. I problemi di iperattività possono essere limitati, mentre quelli impulsivi quasi assenti. Non presentano inoltre difficoltà nelle interazioni con i pari e con gli adulti.
Misto, in cui sono presenti entrambe le categorie comportamentali di impulsività-iperattività e disattenzione con stessa presenza sintomatologica e tali da richiedere l’attenzione clinica.
L’aspetto comune dei bambini e degli adolescenti con ADHD è che il loro livello di attività, di impulsività o di disattenzione è così pervasivo e persistente, e ben lontano dalla normale vivacità, disattenzione e impulsività tipica dei bambini, che compromette ogni ambito di vita, tale da impedire il raggiungimento dei propri obiettivi e causare difficoltà di apprendimento. Anche dal punto di vista emotivo sono labili e hanno difficoltà a regolare le proprie emozioni.
L’ADHD esordisce nell’infanzia, non vi è alcuna specificazione di un’età di esordio. È frequentemente identificato nel corso degli anni della scuola elementare, dove anche la disattenzione risulta maggiormente invalidante. Il quadro sintomatologico risulta più stabile nella prima adolescenza, in alcuni casi, però, può presentarsi un peggioramento, con la comparsa di comportamenti antisociali.
In età pre-scolare si evidenzia in modo preminente l’iperattività, mentre nella fascia di età della scuola elementare emerge maggiormente la disattenzione. Nella fase adolescenziale si presentano con minor frequenza i segnali di Iperattività, in prevalenza connotati solo da agitazione, una sensazione più interna di nervosismo, irrequietezza o impazienza. In età adulta l’Impulsività, unitamente alla Disattenzione ed all’Irrequietezza, può permanere su livelli problematici, pur essendo diminuita l’Iperattività.
Per quanto riguarda l’eziologia, la ricerca ha evidenziato l’importante ruolo ricoperto dai fattori genetici sullo sviluppo dell’ADHD (Zametkin, 1989). La trasmissione genetica incide sui livelli di attività motoria, si ipotizza, dunque, una base ereditaria per il disturbo. E’ stato dimostrato come il peso dei fattori genetici sullo sviluppo del disturbo sia maggiore in presenza di sintomi di maggior gravità (Biederman et al., 1995).
Sono state riscontrate differenti caratteristiche neurobiologiche in presenza del disturbo di ADHD che si traducono in un deficit nel comportamento inibitorio, nella regolazione emotiva, nel mantenimento dei livelli di attenzione e nei processi di pianificazione ed esecuzione delle risposte motorie. (Barkley, 1997).
Nell’eziologia dell’ADHD vanno inoltre considerate le variabili di natura biologica che occorrono in epoca pre o perinatale e che possono implicare danni cerebrali o particolari difficoltà legate al decorso della gravidanza, al parto, o che possono presentarsi nella prima infanzia.
Altro ruolo importante è quello rivestito dalle interazioni conflittuali che si instaurano tra genitori e bambino, che influirebbero aumentando notevolmente la probabilità che il disturbo si manifesti a pieno, in tutta la sua gravità.
TRATTAMENTO
Ad oggi il miglior trattamento per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività è di tipo multimodale e prevede una combinazione d’interventi di tipo farmacologico, psicoeducativo e psicoterapeutico.
Gli psicostimolanti sono considerati i farmaci più efficaci per bambini, adolescenti e adulti con ADHD. Tra i farmaci utilizzati vi sono il metilfenidato (Ritalin), le anfetamine (Adderal), le destoanfetamine (Dextrostat, Dexedrine) e l’atomoxetina (Strattera).
I miglioramenti più duraturi di tipo comportamentale si ottengono però affiancando alla terapia farmacologica un programma cognitivo-comportamentale composto da tecniche e strategie cognitive e comportamentali in grado di aiutare i bambini, i genitori e gli insegnanti a comprendere e gestire i comportamenti problematici. Di fondamentale importanza quindi risultano i percorsi da compiere parallelamente al trattamento cognitivo-comportamentale con il bambino, quali il Parent Training e il Teacher Training. Attraverso il Parent Training si insegnano ai genitori le strategie per essere più riflessivi, più coerenti nelle pratiche educative, più organizzati e strutturati nell’ambiente familiare, al fine di ridurre i comportamenti problematici e favorire le capacità di autogestione del bambino. Attraverso il Teacher Training invece verranno fornite indicazioni agli insegnanti sulla strutturazione e organizzazione dell’ambiente scolastico considerando le caratteristiche e i bisogni specifici del bambino, al fine di migliorare la capacità di attenzione e motivazione all’apprendimento e favorire la relazione con i pari.
Per quanto riguarda le difficoltà emotive-comportamentali, sempre di stampo cognitivo comportamentale, funzionali risultato gli interventi REBT- Terapia Razionale Emotiva Comportamentale, Cool Kids (7-16 anni), DBT- Dialectical Behavior Therapy, Schema Therapy e ACT-Acceptance and Commitment Therapy. I primi tre percorsi sono di gruppo, l’ACT invece è individuale e tutti aiutano il soggetto a sviluppare una consapevolezza e una successiva modifica più adattiva dei processi di pensiero che portano a provare determinate emozioni e ad attuare conseguenti comportamenti.
Soprattutto per le manifestazioni di impulsività-iperattività, l’uso della DBT, può essere un valido approccio terapeutico.
Bibliografia
American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
Barkley R.A., ADHD and the nature of self-control, Guilford Press, New York, 1997.
Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano, 2007.
Vio C., Marzocchi G.M., Offredi F., Il bambino con deficit di attenzione/iperattività, Erickson, Trento, 1999.
L’Anoressia nervosa rientra tra i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e si manifesta con un’assunzione ristretta di calorie in relazione alle necessità. Comporta un peso corporeo minore di quello previsto rispetto a età, sesso e salute fisica, un’alterazione del modo di percepirsi e un’eccessiva preoccupazione di diventare “grasso” anche se il peso è significativamente basso.
Le variazioni del peso corporeo nel tempo, la costituzione corporea e lo stato di salute in generale possono essere indicatori per poter formulare una diagnosi.
Secondo il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5, 2014) esistono due tipologie di anoressia nervosa:
Per i bambini e gli adolescenti il livello di gravità del disturbo è stabilito da un percentile dell’indice di massa corporeo (IMC) per l’età e il sesso. L’indicatore di sottopeso per età è al di sotto del V° percentile e al di sopra di questo parametro di riferimento bambini e adolescenti possono essere giudicati sottopeso se incapaci di mantenere la traiettoria di crescita prevista.
Problemi scolastici, familiari o nelle relazioni con i pari possono aumentare il livello di gravità (DSM V, 2014).
TRATTAMENTO
Le linee guida NICE suggeriscono l’importanza di un approccio multidisciplinare che comprende non soltanto un percorso psicoterapeutico individuale, ma anche un coinvolgimento delle famiglie, in alcuni casi l’utilizzo di un’adeguata farmacoterapia e la presenza di figure medico-nutrizionali. Nei casi in cui lo stato di denutrizione sia grave è necessario intervenire attraverso il ricovero ospedaliero.
La terapia cognitivo comportamentale (TCC) è indicata come trattamento di prima scelta per tale disturbo. Essa non solo prende in considerazione la tendenza al controllo alimentare e l’ossessione di ingrassare, ma anche i processi quali bassa autostima nucleare, perfezionismo clinico, difficoltà nel tollerare le emozioni e le difficoltà interpersonali.
Attraverso un inquadramento diagnostico iniziale e condiviso si rintracciano informazioni di vita e sintomatologiche nonché l’eventuale presenza di un disturbo di personalità in comorbidità. Successivamente si comprende il funzionamento del disturbo e i fattori di mantenimento con l’obbiettivo di normalizzare il peso e diminuire i comportamenti di controllo. La psicoterapia si focalizza sul lavoro dei processi centrali del disturbo, tra cui preoccupazione per forma e peso corporeo, restrizione dietetica cognitiva e calorica, e anche il vissuto emotivo analizzando le emozioni che incidono e influiscono sui comportamenti maladattivi, per poi arrivare ad affrontare perfezionismo, difficoltà relazionali e bassa autostima nucleare (Dalle Grave, R. 2001).
L’obbiettivo di tale percorso è quello di apprendere che tali processi rappresentano un modo disfunzionale per affrontare i vissuti emotivi di sofferenza.
Nella fase finale della terapia vengono rafforzate le strategie utili per affrontare eventuali ricadute e vengono fissati incontri periodici di presa visione dei progressi.
Per quanto riguarda il trattamento psicologico dell’anoressia nervosa è basilare il coinvolgimento dei familiari che forniscono un prezioso contributo riguardo informazioni sull’andamento della perdita di peso nel tempo e sulle altre caratteristiche della malattia.
L’intervento di parent-training mira ad analizzare, insieme ai familiari, le caratteristiche del disturbo, le difficoltà riscontrate da questi ultimi nell’approcciarsi a tale sofferenza e a come superarle. Questo può essere integrato con interventi di gruppo specifici per il disturbo che coinvolge tutte le figure impegnate sul caso: il terapeuta individuale, il terapeuta che si occupa del parent training, i genitori che sono alleati fondamentali per il superamento del disturbo ed eventualmente le figure medico-nutrizionali e psichiatriche.
Gli approcci terapeutici maggiormente rilevanti per bambini e adolescenti, nell’apprendimento di abilità di autoregolazione emotiva sono i trattamenti di Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT, Rational Emotive Behavior Therapy) e interventi basati sull’accettazione che riducono l’evitamento esperienziale come l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Schema Therapy, la Mindflulness con protocolli specifici per bambini e adolescenti, e la Dialectical Behavior Therapy (DBT), adatta ad acquisire flessibilità, integrare i dilemmi dialettici alla base della sofferenza e comprendere quali aspetti della vita accettare e quali cambiare.
Altro trattamento non meno importante è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing – Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) la quale permette, lavorando sul passato, la rielaborazione dei ricordi che hanno contribuito allo sviluppo del disturbo rinforzando tutte le risorse del paziente, affinché possa gestire anche nel presente e nel futuro momenti di particolare vulnerabilità.
Bibliografia
American Psychiatric Association (2014). DSM – 5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore
Dalle Grave, R. (2001), Fattori cognitivo comportamentali nel mantenimento dei disturbi del comportamento alimentare, in Brunetta M., Froldi M. (a cura di), I meccanismi del mantenimento del sintomo nei disturbi del comportamento alimentare: Anoressia nervosa e bulimia nervosa, Pitagora Press, Milano, pp. 93-118.
Il disturbo d’ansia da separazione è caratterizzato da paura o ansia eccessiva e inappropriata che riguarda la separazione da casa o dalle figure di riferimento per il bambino. Tale condizione, il cui esordio si verifica solitamente in età prescolare, crea un disagio clinicamente significativo o una evidente compromissione del funzionamento quotidiano del minore. I bambini mostrano eccessiva agitazione e preoccupazione quando si separano dalla loro figura di riferimento primario, o anche solo anticipando mentalmente l’allontanamento. Potrebbero essere riluttanti ad andare a scuola, o evitarla del tutto. Potrebbero inoltre esprimere preoccupazione rispetto possibili incidenti, rapimenti, aggressione o morte ai danni delle figure di attaccamento. Riguardo ai fattori di rischio, il disturbo può avere una componente genetica, ma nella maggior parte dei casi si sviluppa in seguito ad un evento stressante.
TRATTAMENTO
Numerosi studi attestano l’efficacia dell’approccio cognitivo comportamentale nel trattamento del disturbo d”ansia da separazione in bambini ed adolescenti.
Oltre a tale approccio, hanno dimostrato la loro efficacia altre tipologie di intervento come la terapia razionale emotiva comportamentale (REBT, ovvero Rational Emotive Behavior Therapy), l’Acceptance and Commitment Therapy (o ACT) e il Parent Training.
BIBLIOGRAFIA
– American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). Milano: Raffaello Cortina
– Celi F. (2018). La psicoterapia in età evolutiva. Firenze: Hogrefe Editore.
L’ansia scolare è un disturbo in cui il livello di ansia, paura e angoscia nel recarsi a scuola sono tali da compromettere una regolare frequenza e il buon rendimento scolastico del bambino. Dai dati presenti in letteratura sembra essere più frequente in alcuni delicati cambiamenti evolutivi quali l’inserimento nella scuola elementare (5-6 anni) e il passaggio alle scuole medie (10-11 anni).
È presente una paura, irrazionale e non controllabile, del giudizio negativo da parte degli insegnanti e/o dei compagni, o di prendere brutti voti e di non essere capaci di superare una prova. Sul piano psico-somatico i sintomi più diffusi sono mal di testa, mal di pancia, nausea, vomito, diarrea, palpitazioni e febbre accompagnati da pianti, ira e collera, crisi di panico all’ingresso della scuola, difficoltà ad addormentarsi e mente offuscata. La permanenza a scuola è vissuta dal bambino come un evento sgradevole e causa un circolo vizioso in cui il vissuto ansioso si manifesta in concomitanza all’anticipazione di un possibile fallimento, a questo ne consegue la fatica a concentrarsi nello studio e la compromissione della prestazione del bambino. Le prestazioni peggiori nelle attività scolastiche confermeranno, poi, la credenza «non posso farcela» e il senso di inadeguatezza del bambino, inducendolo a ritirarsi sempre più in sé stesso, con conseguente scarsa motivazione e impegno nell’affrontare i compiti. La terapia cognitivo comportamentale si è rivelata efficace per il trattamento di tale disturbo, in cui è di fondamentale importanza il coinvolgimento e la collaborazione dei genitori attraverso un percorso di Parent Training. Altri interventi efficaci per il trattamento del disturbo d’ansia sono i protocolli specifici del Cool Kids Program e della REBT (Terapia razionale emotiva e comportamentale).
BIBLIOGRAFIA
Il disturbo d’ansia sociale è caratterizzato da un’eccessiva preoccupazione relativa a una o più situazioni sociali. Tale preoccupazione è dovuta al marcato timore di poter fare qualcosa d’imbarazzante o umiliante in tali situazioni e di essere per tale motivo giudicati negativamente dagli altri. Questa condizione limita significativamente l’esplorazione e la possibilità di fare o dire qualsiasi cosa possa causare un’umiliazione.
Nei bambini, la paura o l’ansia si manifestano in contesti in cui vi sono coetanei e non solamente durante le interazioni con gli adulti.
Rispetto ai bambini piccoli, gli adolescenti mostrano un patter più ampio di paura ed evitamento, che comprende frequentare qualcuno.
L’esordio avviene solitamente tra gli 8 e i 15 anni, ma potrebbe verificarsi anche nella prima infanzia ed essere associato ad un’esperienza stressante o umiliante.
TRATTAMENTO
Numerosi studi attestano l’efficacia dell’approccio cognitivo comportamentale standard nel trattamento del disturbo d’ansia sociale in bambini ed adolescenti.
Oltre a tale approccio, hanno rivelato la loro efficacia anche altre tipologie di intervento come la terapia razionale emotiva comportamentale (REBT, ovvero Rational Emotive Behavior Therapy), l’Acceptance and Commitment Therapy (o ACT) e il Parent Training.
BIBLIOGRAFIA
– American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). Milano: Raffaello Cortina.
– Celi F. (2018). La psicoterapia in età evolutiva. Firenze: Hogrefe Editore.
Questa categoria di disturbi raccoglie un insieme di quadri patologici caratterizzati da una generale difficoltà nello stabilire relazioni intersoggettive e da un pattern di interessi ristretti e ripetitivi, causati da problemi del neurosviluppo che, alterando nei primi anni di vita la capacità di mettersi in relazione con gli altri, provocano differenti effetti cognitivi, affettivi e comportamentali. I Disturbi dello Spettro Autistico hanno un ampio range di espressione, da forme con disabilità intellettiva e compromissione del linguaggio a forme con funzionamento intellettivo superiore alla media che mantengono difficoltà nella comunicazione sociale (Keller, 2016). Il DSM-5 propone una classificazione a tre livelli di gravità in base alla quantità e al tipo di supporto necessario alla persona nei due ambiti comunicazione sociale e comportamenti ristretti e ripetitivi. Al livello 1 è necessario un supporto, che diventa significativo al livello 2 e molto significativo al livello 3.
Nei disturbi dello spettro autistico, in ogni caso, risultano deficitarie diverse competenze tra cui quelle emotive e sociali. Per competenza emotiva si intende la capacità di un individuo di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri, di saperle comunicare attraverso le espressioni e il linguaggio della cultura di appartenenza e di regolarle in modo adeguato al contesto, così da ricavare un senso di efficacia dagli scambi interattivi.
Le competenze sociali vengono usate quotidianamente per comunicare e interagire in modo appropriato ed efficace con gli altri.
Bambini, adolescenti e adulti con disturbo dello spettro autistico, necessitano in particolar modo di acquisire abilità e modelli di comportamento che favoriscono l’inclusione.
SERVIZI
Il Servizio ambulatoriale dell’Associazione Cognitivismo Clinico offre alle famiglie di bambini e ragazzi con Disturbo dello spettro autistico (ASD) molteplici tipologie di intervento nell’ambito di approcci comportamentali, evolutivi e cognitivo-comportamentali nonché interventi specifici per la comunicazione:
– Psicoterapia individuale
– Gruppi organizzati per fasce d’età: Social Skill Training e Laboratori sulle competenze cognitivo emotive;
– Incontri di gruppo rivolti ai genitori;
– Parent training;
– Teacher Training.
In rapporto agli adulti con Disturbo dello Spettro dell’Autismo, l’Associazione propone interventi cognitivo-comportamentali rivolti a persone con ASD di livello 1. Le prestazioni offerte, seguendo quanto definito dalle linee guida internazionali, sono finalizzate all’incremento delle competenze emotive, al miglioramento delle skills relazionali, al potenziamento delle autonomie personali, nonché alla riduzione di eventuale sintomatologia in comorbidità. Ove necessario, possono coinvolgere i caregiver della persona con ASD o prevedere la collaborazione con eventuali servizi di presa in carico in un’ottica di modello di rete (Keller, 2016).
Gli interventi rivolti ad adulti con ASD riguardano:
PSICOTERAPIA INDIVIDUALE
La psicoterapia cognitivo comportamentale si è sviluppata negli anni e definita, usando valutazioni rigorosamente scientifiche di provata efficacia nel cambiamento del modo in cui una persona pensa e risponde a sentimenti come ansia, tristezza e rabbia. La CBT si concentra sugli aspetti di carenza in termini di maturità, complessità ed efficacia del pensiero riguardante le emozioni e su quelli di distorsione cognitiva in termini di pensieri disfunzionali e assunti errati, trova quindi diretta applicazione su bambini e adolescenti con disturbo dello spettro autistico che riscontrano problemi di distorsioni cognitive riguardo pensieri e sentimenti.
I problemi di carattere cognitivo possono includere immaturità nell’espressione delle emozioni, specialmente riguardo affetto e rabbia, un vocabolario limitato di parole per esprimere la sottile variazione delle emozioni e mancanza di un ventaglio di meccanismi di riparazione appropriati. La distorsione cognitiva può includere un fraintendimento delle intenzioni dell’altro, specialmente comprendere se un’azione è accidentale o intenzionale, la tendenza alla comprensione letterale del linguaggio, delle situazioni e i pensieri disfunzionali, a riconoscimento delle emozioni e alle sensazioni fisiche, cognitive e comportamentali ad esse collegate.
Le tecniche cognitivo-comportamentali mirano a promuovere, nei soggetti con autismo, i comportamenti adattivi e ridurre quelli problematici attraverso un intervento intensivo e programmato, che sia utilizzabile oltre che dai terapisti e professionisti anche dai genitori. È auspicabile che nella fase di progettazione di tali tipi di intervento il lavoro venga calibrato e strutturato sulle specifiche caratteristiche e necessità di ogni singolo bambino e di ogni singola famiglia.
Un programma di intervento di Terapia Cognitivo-Comportamentale modificata per adattarsi efficacemente alle esigenze cognitive e sensoriali delle persone con autismo si focalizza su sia aspetti emotivi sia cognitivi che comportamentali.
SOCIAL SKILL TRAINING
Gli incontri di gruppo si propongono di aiutare bambini, adolescenti e adulti
ad acquisire un’adeguata gestione delle emozioni, competenze di problem- solving, competenze socio-relazionali e maggiore flessibilità cognitiva.
LABORATORIO SULLE COMPETENZE COGNITIVO EMOTIVE
Le diverse tipologie di Laboratori, seguendo un approccio psicoeducativo multimodale (come da Linee Guida 21 dell’ISS), hanno lo scopo di aiutare gli utenti con disturbi del neurosviluppo (Disturbo dello SpettroAutistico, Disabilità Intellettiva) a generalizzare le abilità acquisite nel percorso di terapia individuale e ad integrare gli aspetti di gestione emotiva in un contesto di socializzazione, al fine di poter garantire un adattamento funzionale ai diversi ambiti di vita.
Lo scopo principale dell’Educazione Cognitivo Affettiva è quello di comprendere perché proviamo delle emozioni, qual è il loro uso adeguato, quello inadeguato e l’identificazione dei vari livelli di espressione delle emozioni.
L’obiettivo è aiutare i bambini e i ragazzi con Disturbo dello spettro autistico ad acquisire nuove competenze per favorire un’adeguata gestione
delle proprie emozioni, maggiori abilità socio-relazionale e di teoria della mente, nonché la riduzione di comportamenti problematici.
Tematiche affrontate:
Bibliografia
American Psychiatric Association, Ed. it. Massimo Biondi (a cura di), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014.
AttwoodT., (2013), Esplorare i Sentimenti. Terapia Cognitivo Comportamentale per gestire ansia e rabbia, Armando, Roma.
Baron-Cohen S. (1997), L’Autismo e la lettura della mente, Astrolabio, Roma.
AttwoodT., (2007), Guida alla Sindrome di Asperger. Diagnosi e caratteristiche evolutive, Erickson, Trento.
Crowe, B. H., & Salt, A. T. (2015). Autism: the management and support of children and young people on the autism spectrum (NICE Clinical Guideline 170). Archives of Disease in Childhood-Education and Practice, 100(1), 20-23.
Keller, R. (2016). I disturbi dello spettro autistico in adolescenza e in età adulta: Aspetti diagnostici e proposte di intervento. Edizioni Centro Studi Erickson.
Wilson, C. E., Roberts, G., Gillan, N., Ohlsen, C., Robertson, D., & Zinkstok, J. (2014). The NICE guideline on recognition, referral, diagnosis and management of adults on the autism spectrum. Advances in Mental Health and Intellectual Disabilities, 8(1), 3-14.
La Bulimia nervosa rientra nella categoria dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e prevede episodi di abbuffate in solitudine in cui il minore, in un limitato periodo di tempo (in genere meno di 2 ore), ingerisce una quantità eccessiva di cibo rispetto alle necessità e sperimenta la sensazione di perdere il controllo non riuscendo a smettere. Successivamente, nel tentativo di prevenire l’aumento di peso in seguito all’abbuffata, attua condotte compensatorie come: induzione di vomito, abuso di lassativi e diuretici, attività fisica eccessiva. Gli episodi di abbuffata e condotta compensatoria si verificano almeno una volta a settimana per tre mesi. Il livello di autostima risulta significativamente compromesso.
Vi sono diversi livelli di gravità del disturbo che fanno riferimento alla frequenza di condotte compensatorie inappropriate messe in atto:
Le persone che soffrono di bulimia nervosa tipicamente sono nei limiti di peso normale o di sovrappeso (indice di massa corporea IMC>18.5 e <30). Le conseguenze della bulimia nervosa possono essere serie complicanze mediche: l’uso improprio di lassativi o diuretici, molto frequenti, possono causare gravi alterazioni elettrolitiche, complicanze renali e aritmie. Nelle ragazze con bulimia nervosa sono spesso presenti irregolarità nel ciclo mestruale o talvolta amenorrea (DSM V, 2014).
TRATTAMENTO
Le linee guida NICE raccomandano un intervento multidisciplinare che permetta di affrontare il disturbo alimentare nei suoi vari aspetti. Spesso si ricorre a terapia farmacologica nel controllo delle abbuffate e si avvale della collaborazione di dietisti e nutrizionisti allo scopo di modificare le abitudini nutrizionali scorrette attraverso il monitoraggio quotidiano dell’alimentazione. In alcuni casi si rende necessario un eventuale invio presso strutture di ricovero pubbliche o private.
La terapia cognitivo comportamentale (TCC) risulta il trattamento d’elezione (NICE, 2004, Shapiro et al., 2007, Hay et al., 2009, Murphy et al., 2010) per la bulimia nervosa (Anderson CB et al, 2012, Agras WS et al. 2000, Fairburn CG et al 1993) soprattutto nella versione ampliata (CBT-E) (Fairburn et al., 2009). Il modello cognitivo-comportamentale considera come principale responsabile degli atteggiamenti e dei comportamenti alimentari patologici la presenza di convinzioni disfunzionali sul cibo e sul proprio corpo che interagisce con un insieme di caratteristiche stabili, individuali e familiari, come ad esempio scarso concetto di sé, scarsa consapevolezza delle proprie emozioni, eccessivo perfezionismo, oscillazione tra comportamenti impulsivi e comportamenti ossessivi, eccessiva importanza attribuita al peso ed alla forma corporei.
Il trattamento prevede diverse fasi: nelle fasi iniziali si focalizza sulla normalizzazione del peso e sull’abbandono dei comportamenti di controllo dello stesso; successivamente tende ad aiutare la persona a migliorare l’immagine corporea, la valutazione di sé e i rapporti interpersonali, modificando l’idea che il peso e le forme corporee costituiscano il principale fattore in base al quale stimare il proprio valore personale. L’ultima fase del lavoro terapeutico integrato si basa sulla prevenzione delle ricadute e sul mantenimento dei risultati raggiunti durante il trattamento.
Lo scopo è aiutare il paziente a modificare il proprio comportamento per poi analizzarne effetti e conseguenze. Per fare ciò, si utilizzano procedure cognitive e comportamentali integrate ad interventi psicoeducativi, tra cui la Dialectical Behavior Therapy (DBT), la Schema Therapy e pratiche di Mindfullness. L’intento è ridurre la vulnerabilità emotiva, ripristinare gli schemi disfunzionali sottostanti e favorire una maggiore consapevolezza di sé senza giudizio, focalizzandosi nel momento presente.
Il trattamento cognitivo-comportamentale della bulimia può essere strutturato individualmente o in gruppi psicoterapeutici su aspetti specifici della patologia o con colloqui di supporto ai familiari.
Altro trattamento favorevole al trattamento è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing – Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) la quale permette, lavorando sul passato, la rielaborazione dei ricordi che hanno contribuito allo sviluppo del disturbo e inoltre rinforza tutte le risorse del paziente, affinché possa gestire anche nel presente e nel futuro momenti di particolare vulnerabilità.
BIBLIOGRAFIA
Agras WS, Walsh T, Fairburn CG, Wilson GT, Kraemer HC: A multicenter comparison of cognitive behavioral therapy and interpersonal psychotherapy for bulimia nervosa. Arch Gen Psychiatry 2000; 57:459–466 [A−]
American Psychiatric Association (2014). DSM – 5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore
Anderson CB, Joyce PR, Carter FA, McIntosh VV, Bulik CM: The effect of cognitive behavioral therapy for bulimia nervosa on temperament and character as measured by the temperament and character inventory. Compr Psychiatry 2002; 43:182–188 [G]
Fairburn CG, Jones R, Peveler RC, Hope RA, O’Connor M: Psychotherapy and bulimia nervosa: longer-term effects of interpersonal psychotherapy, behavior therapy, and cognitive behavior therapy. Arch Gen Psychiatry 1993; 50:419–428 [A−]
Fairburn C.G., Cooper Z., Doll H.A. Transdiagnostic cognitive behavioral therapy for patients with eating disorders: a two-site trial with 60-week follow-up. Am J Psychiatry. 2009; 166:311–319.
Hay P.P.J., Bacaltchuk J., Stefano S. Psychological treatments for bulimia nervosa and binging. Cochrane Database Syst Rev. 2009;4 CD000562. [PubMed]
Murphy R., Straebler S., Cooper Z, Fairburn C. G., DM, Cognitive Behavioral Therapy for Eating Disorders (2010), The Psychiatric Clinics of North America, 2010 Sep; 33(3): 611–627.
NICE. (2017). Eating disorders: recognition and treatment (NG69). In. London: National Institute for Clinical Excellence.
Shapiro J.R., Berkamn N.D., Brownley K.A. Bulimia nervosa treatment: a systematic review of randomized controlled trials. Int J Eat Disord. 2007;40(4):321-336. [PubMed]
La disabilità intellettiva (DSM-5) o “disturbo dello sviluppo intellettivo” (ICD-11), è un disturbo con esordio in età evolutiva e comprende deficit del funzionamento sia intellettivo che adattivo negli ambiti concettuali, sociali e pratici. Il funzionamento intellettivo si riferisce alle capacità mentali generali, come il ragionamento, il problem solving, la pianificazione, il pensiero astratto, la capacità di giudizio, l’apprendimento scolastico e l’apprendimento dall’esperienza.
Il funzionamento adattivo fa riferimento all’efficacia con cui i soggetti affrontano i bisogni più comuni della quotidianità e a quanto riescono a raggiungere gli standard di autonomia personale previsti per la loro fascia di età, background socioculturale e contesto ambientale.
Il funzionamento adattivo si modifica in base all’età e solitamente deve essere verificato periodicamente nei diversi contesti di vita (contesto familiare, scolastico, lavorativo e relazionale). Nella valutazione occorre far riferimento a:
In base al grado di compromissione, vengono individuati quattro livelli di gravità:
TRATTAMENTO
Dopo la diagnosi di disabilità intellettiva, è necessario intervenire con un trattamento integrato: psicoterapia, potenziamento cognitivo, logopedia, psicomotricità e farmacologia. La psicoterapia cognitivo comportamentale risulta efficace per permettere ai bambini con disabilità intellettiva di apprendere strategie comportamentali che permettono di migliorare l’interazione sociale, il riconoscimento dei propri stati emotivi, il valorizzare le risorse del paziente e il promuovere una modificazione dello schema cognitivo.
Un altro importante intervento è il potenziamento cognitivo, la cui funzione è di rinforzare e ampliare una o più funzioni cognitive che sono poco sviluppate, quali la memoria, l’attenzione, il linguaggio, la programmazione motoria, la percezione spazio -temporale e le funzioni esecutive. Il potenziamento cognitivo è caratterizzato dall’ acquisizione di abilità, proponendo attività diversificate a seconda degli obiettivi e promuovendo la generalizzazione dell’apprendimento.
Utili risultano essere anche gli interventi REBT (intervento educativo sull’educazione razionale emotiva) e le Social Skills Training (acquisizione di strategie funzionali per interagire con gli altri).
Inoltre è di fondamentale importanza un intervento di Parent Training per i genitori, che permette di aumentare la conoscenza della disabilità intellettiva, la consapevolezza dei limiti del proprio figlio, la gestione dello stress genitoriale, identificare ed acquisire strategie per la gestione degli stati emotivi negativi, quali rabbia, angoscia, sentimenti di colpa, disperazione e il progettare il futuro del bambino.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Diagnosi dei disturbi evolutivi. Modelli, criteri diagnostici e casi clinici. Aggiornato al DSM-5. A cura di C. Vio e G. Lo Presti. Edizioni Centri Studu Erickson 2014
Il disturbo depressivo rappresenta uno dei quadri psicopatologici più frequenti in età evolutiva.
I bambini non avendo, per età cronologica, una buona capacità di verbalizzare e comunicare il loro malessere e la loro sofferenza, tendono ad esprimerla attraverso il loro comportamento.
La manifestazione di questo disturbo abbraccia una vasta gamma di condotte quali comportamenti aggressivi, ritiro sociale, interdipendenza da una o più figure adulte, sfiducia nelle proprie capacità e calo ingiustificato e improvviso del rendimento scolastico. Infatti, i disturbi depressivi in età evolutiva possono presentare significative conseguenze dello sviluppo a medio e lungo termine in termini scolastici, interpersonali. Negli adolescenti possono aumentare le condotte di abuso di sostanze, comportamenti devianti e gesti suicidari.
Nel disturbo depressivo maggiore in età evolutiva, l’episodio di depressione dura almeno 2 settimane. I bambini in genere mostrano tristezza o irritabilità, possono provare sentimenti di inutilità (ossia, sentirsi rifiutati e non amati) o di colpa eccessiva e inappropriata.
Il bambino perde interesse verso le attività che normalmente procurano piacere, come lo sport, la televisione, i videogiochi o il gioco con gli amici. Possono mostrare un’eccessiva noia. Molti bambini lamentano anche problemi fisici, come mal di stomaco o cefalee. L’appetito può aumentare o diminuire, determinando spesso significative variazioni di peso. Il sonno in genere è disturbato: possono mostrare insonnia, dormire troppo o essere disturbati da incubi frequenti. I bambini affetti da depressione spesso sono deboli, apatici o fisicamente inattivi. Soprattutto i bambini più piccoli possono negare la tristezza o esprimerla in modo poco chiaro tanto che i sintomi sono spesso apparentemente contraddittori si manifestano attraverso condotte iperattive e aggressive. I sintomi in genere interferiscono con le capacità di pensiero e concentrazione, con frequente alterazione del rendimento scolastico. I bambini possono perdere le amicizie e possono avere pensieri ricorrenti di morte e/o ideazioni suicidarie con la presenza di una vera pianificazione.
l disturbo da disregolazione dell’umore persistente è stato inserito nell’ultima versione del Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, il DSM-5. Tale disturbo è caratterizzato da gravi e ricorrenti esplosioni di rabbia manifestate verbalmente (ad es. urla, grida e pianti) e fisicamente (ad es. aggressioni fisiche a persone o a oggetti) che sono decisamente sproporzionate sia come durata che come intensità rispetto alla situazione o alla provocazione. Le esplosioni di rabbia risultano essere incoerenti rispetto all’età dello sviluppo e si manifestano, in media, tre o più volte a settimana.
L’umore tra una crisi e l’altra è persistentemente irritabile o arrabbiato per la gran parte della giornata, quasi ogni giorno, ed è osservabile dall’esterno (ad es. genitori, insegnanti e amici).
I bambini che soffrono di disturbo da disregolazione dell’umore dirompente mostrano difficoltà nell’elaborare e gestire gli stimoli emotivi negativi e le esperienze sociali nella vita di tutti i giorni.
Nel disturbo bipolare, periodi di euforia ed eccitazione intense (mania) si alternano a periodi di depressione e disperazione.
I bambini possono passare rapidamente dall’essere entusiasti, felici e attivi al mostrarsi depressi isolati e indolenti o pieni di rabbia e violenti.
Normalmente i bambini hanno frequenti oscillazioni dell’umore e passano da uno stato d’animo gioioso e attivo alla tristezza e all’introversione. Queste oscillazioni raramente indicano un disturbo psichiatrico. Il disturbo bipolare è molto più grave dei normali cambiamenti dell’umore e le fasi durano molto più a lungo, spesso per settimane o mesi.
Chi soffre di Disturbo bipolare di tipo I sperimenta, nell’arco della vita, fasi maniacali, che possono essere precedute o seguite da fasi ipomaniacali o depressive; oppure fasi ipomaniacali e depressive nel disturbo Bipolare di tipo II. Se invece ad alternarsi sono le fasi di depressione lieve a fasi di ipomania si potrebbe parlare di Disturbo Ciclotimico.
Le manifestazioni maniacali nei bambini sono caratterizzate dalla presenza di umore elevato o espanso, irritabile e possono manifestare un’autostima ipertrofica. Nonostante il ridotto bisogno di sonno, il bambino mostra una grande energia tuttavia non riesce a portare a termine alcun progetto poiché non fa in tempo ad intraprendere un’attività che la abbandona. Può manifestare un aumento dell’agitazione, disinibizione eccessiva e, in genere, comportamenti socialmente inappropriati. È tipica della fase maniacale la distraibilità e la fuga delle idee nonché la presenza di pensieri molto veloci e rapidi che si presentano, spesso, senza un ordine temporale. In linea con l’elevata agitazione manifestata, il bambino tende ad essere logorroico e rapido nell’espressione comunicativa.
Quando la sintomatologia depressiva o l’umore irritabile è lieve e tende ad assumere un decorso cronico parliamo di distimia. Dura almeno un anno nei bambini e adolescenti ed è caratterizzato oltre che dalla presenza di depressione o irritabilità per la maggior parte del giorno da ipofagia o iperfagia, alterazioni del sonno, bassa autostima, difficoltà a prendere decisioni, bassa energia e facile affaticabilità. Circa il 70% dei ragazzi con Distimia sviluppa Depressione maggiore. Viene manifestata dal bambino bassa capacità di gioire, introversione e insicurezza.
TRATTAMENTO
Tutti i trattamenti che vengono proposti per il disturbo depressivo, oltre ad essere orientati alla regolazione emotiva, prevedono il coinvolgimento dei genitori; ciò nasce dall’influenza che essi hanno nel mantenimento e nella risoluzione del disturbo. In ogni tipologia di intervento risultano molto efficaci i parent training e i teacher training che, con l’utilizzo di moduli di tipo psicoeducativo, favoriscono una maggior comprensione del disturbo e indicazioni su come comportarsi nella gestione dello stesso.
La psicoterapia cognitiva e comportamentale individuale e di gruppo, che descrive il disagio psicologico come una complessa interazione di pensieri, emozioni e comportamenti, è il trattamento d’elezione per i disturbi depressivi sia in età infantile sia in età adolescenziale.
Tale approccio prevede un lavoro sia su aspetti cognitivi sia comportamentali. La componente cognitiva del trattamento agisce sull’identificazione e il cambiamento di schemi disfunzionali, dei pensieri automatici e delle distorsioni cognitive. La componente comportamentale invece enfatizza il lavoro sulle difficoltà di coping, sulle relazioni interpersonali, sull’acquisizione di abilità di problem solving sociali e sulla riattivazione comportamentale.
Studi attestano l’efficacia dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), intervento terapeutico di cornice cognitivo comportamentale di terza generazione, nel trattamento degli adolescenti con disturbo depressivo.
Differenti studi hanno adattato la Dialectical behavioural Therapy (DBT) al trattamento del Disturbo Bipolare negli adolescenti. L’intervento, basato su evidenze e ideato per adulti con Disturbo Borderline di Personalità è orientato, nel disturbo bipolare ha mostrato evidenze nella risuzione dei comportamenti suicidari, dei comportamenti autolesivi non suicidari, dei sintomi depressivi e della disregolazione emotiva.
American Psychiatric Association. (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). Milano: Raffaello Cortina.
Beck, A. T. (1979). La depressione. Boringhieri.
Beck, A. T. (1987). Terapia cognitiva della depressione. Boringhieri.
Beck, J. S. (2002). Terapia cognitiva. Fondamenti e prospettive. Mediserve srl.
Cazzullo, A. G. (1992). La depressione infantile. la ca’granda, 13.
Celi, F. (2002). Psicopatologia dello sviluppo: Storie di bambini. McGraw-Hill.
Di Pietro, M., & Bassi, E. (2013). L’intervento cognitivo-comportamentale per l’età evolutiva. Trento, IT: Erickson.
Lanzi, G. (Ed.). (1994). La depressione nel bambino e nell’adolescente. Armando Editore.
Lambruschi, F (2014). Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Bollati Boringhieri
NICE 2022. All rights reserved. Subject to Notice of rights (https://www.nice.org.uk/terms-andconditions#notice-of-rights).
Il Disturbo da binge-eating (o disturbo da alimentazione incontrollata) rientra tra di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Inizia tipicamente nell’adolescenza o nella prima età adulta, ma può iniziare anche in tarda età adulta ed è caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffata che devono verificarsi mediamente almeno una volta a settimana per 3 mesi a seguito dei quali non mette sistematicamente in atto condotte compensatorie. Il disagio vissuto durante le abbuffate viene manifestato con la tendenza a mangiare più rapidamente del normale “in un determinato periodo di tempo”, fino a sentirsi sgradevolmente pieni, mangiare molto anche se non si è affamati, mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando e sentirsi depressi e disgustati verso sé stessi o molto in colpa dopo l’episodio
Nel binge eating la gravità è valutata in base alla frequenza degli episodi di abbuffata:
TRATTAMENTO
Come suggerito dalle linee guida scientifiche (NICE e APA), è necessario un approccio multidisciplinare che coinvolga non solo il terapeuta individuale, ma anche una terapia di gruppo, figure medico nutrizioniste e, nel caso fosse necessario, anche psichiatriche. Anche in questo caso, come per l’anoressia nervosa e la bulimia, il coinvolgimento dei famigliari può essere di grande supporto.
Come riportato dalle linee guida, il ricorso alla terapia cognitivo comportamentale in associazione anche a gruppi di skill training e a tecniche di terapia dialettico comportamentale mostra una percentuale di remissione dalla sintomatologia superiore al 67% dei casi.
La terapia individuale mira ad un inquadramento diagnostico iniziale, che serve a raccogliere oltre alle informazioni di vita e sintomatologiche anche l’eventuale presenza di un disturbo di personalità in comorbidità. Successivamente si comprende il funzionamento del disturbo e i fattori di mantenimento con l’obbiettivo di normalizzare il peso e diminuire i comportamenti di controllo.
In seguito, si affrontano i processi centrali del disturbo da binge eating tra cui il vissuto emotivo, analizzando le emozioni che incidono e influiscono sui comportamenti disfunzionali e i costrutti relativi alla percezione/dispercezione della propria immagine corporea. L’obbiettivo del percorso è apprendere un nuovo stile di vita e abbandonare schemi disfunzionali che fanno pensare al cibo come unica fonte di gratificazione. Nella fase finale del percorso vengono rafforzate le strategie utili per affrontare eventuali ricadute e vengono fissati incontri periodici di presa visione dei progressi.
Il coinvolgimento dei familiari è fondamentale e attraverso parent-training si analizzano le caratteristiche del disturbo, le difficoltà riscontrate da questi ultimi nell’approcciarsi a tale sofferenza e a capire come superarle.
Il trattamento può essere integrato con interventi di gruppo specifici per il disturbo che coinvolge tutte le figure impegnate sul caso: il terapeuta individuale, il terapeuta che si occupa del parent training, i genitori che sono alleati fondamentali per il superamento del disturbo ed eventuali figure medico-nutrizionali e psichiatriche.
Gli approcci terapeutici maggiormente rilevanti per bambini e adolescenti, nell’apprendimento di abilità di autoregolazione emotiva sono i trattamenti di Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT, Rational Emotive Behavior Therapy) e interventi basati sull’accettazione che riducono l’evitamento esperienziale come l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Schema Therapy, la Mindflulness con protocolli specifici per bambini e adolescenti, e la Dialectical Behavior Therapy (DBT), adatta ad acquisire flessibilità, integrare i dilemmi dialettici alla base della sofferenza e comprendere quali aspetti della vita accettare e quali cambiare.
Altro trattamento non meno importante è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing – Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) la quale permette, lavorando sul passato, la rielaborazione dei ricordi che hanno contribuito allo sviluppo del disturbo rinforzando tutte le risorse del paziente, affinché possa gestire anche nel presente e nel futuro momenti di particolare vulnerabilità.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association: DSM-5 Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 5 ed. (2013).Tr.it. Milano, Raffaello Cortina 2014.
NICE. (2017). Eating disorders: recognition and treatment (NG69). In. London: National Institute for Clinical Excellence.
Il disturbo della pica è un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione e risulta più frequente in età evolutiva ma può manifestarsi per la prima volta anche in adolescenza o in età adulta (in questo caso spesso è associata alla disabilità intellettiva).
Esso consiste nella tendenza ad ingerire in modo persistente sostanze non alimentari, non commestibili come carta, sapone, stoffa, terra, lana, gesso, capelli, talco in polvere, vernice, gomma, metallo, ciottoli, carbone, cenere, creta, ghiaccio e amido. Tale abitudine deve persistere per almeno un mese e deve risultare inadeguata rispetto alla fase di sviluppo del bambino.
La pica può essere associata a ritardo mentale, essere causata da un deficit vitaminico o di sali minerali (ferro, zinco, calcio), viene riscontrata nelle donne gravide e in certe società è considerata come una pratica culturale e non risulta patologica. Di solito si giunge ad attenzione clinica solo in seguito a complicanze mediche generali (problemi intestinali, ostruzioni intestinali, perforazione intestinale, infezioni a seguito di ingerimento di sporcizia o feci, avvelenamento nel caso in cui le sostanze contengano vernice o piombo) (DSM V, 2014).
TRATTAMENTO
Il trattamento è volto ad incrementare le carenze nutrizionali qualora siano presenti e valutare eventuali complicanze di natura medica che potrebbero richiedere un’emergenza chirurgica come nel caso di ostruzione intestinale.
Oltre ad eventuali interventi di natura più medica, la psicoterapia cognitiva-comportamentale risulta utile non solo nell’individuazione dei sintomi, ma anche nel trattamento della patologia affinché si possano ristabilire delle tipiche condotte alimentari.
Di fondamentale importanza nel trattamento, soprattutto in età infantile, è il lavoro clinico con i genitori attraverso interventi di parent-training improntati sulla psicoeducazione e finalizzati a fornire strategie comportamentali atte a gestire in modo funzionale i comportamenti del bambino e a favorire ambienti facilitanti e supportivi.
Gli approcci terapeutici maggiormente rilevanti per bambini e adolescenti sono i trattamenti Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT, ovvero Rational Emotive Behavior Therapy), e interventi basati sull’accettazione che riducono l’evitamento esperienziale come l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Mindflulness e il trattamento EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing – Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) la quale permette, lavorando sul passato, la rielaborazione dei ricordi che hanno contribuito allo sviluppo del disturbo e inoltre rinforza tutte le risorse del paziente, affinché possa gestire anche nel presente e nel futuro momenti di particolare vulnerabilità.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association: DSM-5 Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 5 ed. (2013). Tr. it. Milano, Raffaello Cortina 2014.
Il disturbo della ruminazione è un disturbo alimentare caratterizzato da un ripetuto rigurgito, masticazione e deglutizione di cibo per almeno un mese. Il rigurgito non è giustificato da una patologia gastrointestinale né si presenta esclusivamente associato con un altro disturbo alimentare. In particolare, è caratterizzato da: un rigurgito in bocca senza nausea, involontari conati di vomito, disgusto e rimasticazione.
Quando si verifica nei lattanti, tende a insorgere dopo i 3 mesi di età. Si mostrano affamati tra un rigurgito e l’altro e perdono peso non superando le tappe ponderali previste; nei casi più gravi si può arrivare alla malnutrizione (sono riferiti tassi di mortalità fino al 25%). Problemi psicosociali come una scarsa stimolazione ambientale, l’abbandono, eventi di vita stressanti e problemi nella relazione genitori-bambino possono essere fattori predisponenti. Nei bambini, comunque, il disturbo va frequentemente incontro a remissione spontanea.
Gli adolescenti invece, possono mascherare il comportamento di rigurgito attraverso specifici gesti che arrivano a ledere in modo significativo la vita sociale e relazionale delle persone come mettersi una mano davanti la bocca, tossire, evitare di mangiare in pubblico, evitare di assumere cibo prima di un’attività sociale, evitare la colazione (paura di poter vomitare al lavoro).
Il disturbo potrebbe essere associato a disabilità intellettiva e in questi casi sembra avere una funzione autocalmante o di autostimolazione simile a quella di altri comportamenti ripetitivi come, per esempio, lo sbattere la testa (DSM V, 2014).
TRATTAMENTO
Le linee guida scientifiche (NICE e APA), suggeriscono un approccio multidisciplinare nel trattamento del disturbo che coinvolga tutte le figure impiegate sul caso specifico: il medico, il nutrizionista, nell’eventualità lo specialista psichiatra oltre che il terapeuta individuale e di gruppo. Anche in questo caso, come per l’anoressia nervosa e la bulimia, il coinvolgimento dei famigliari può essere di grande supporto.
Come riportato dalle linee guida NICE, il ricorso alla terapia cognitivo comportamentale in associazione anche a gruppi di skill training e a tecniche di terapia dialettico comportamentale mostra una percentuale di remissione dalla sintomatologia superiore al 67% dei casi.
Nel disturbo da ruminazione, si fa ricorso principalemnte a tecniche di modifica comportamentale che aiutano le persone a disabituarsi dai comportamenti inappropriati e ad apprendere comportamenti opportuni.
Nella fase iniziale del trattamento è utile un’analisi funzionale del disturbo in cui è bene distinguere da subito il vomito con reingestione parziale o assente (rinforzato dall’ambiente esterno) dalla ruminazione con rideglutizione (rinforzato dall’autostimolazione). In seguito, si applicano varie tecniche comportamentali come l’ipercorrezione, la sottrazione di cose positive, l’uso di sostanze dal sapore sgradevole, la saziazione, il rinforzo positivo differenziale di comportamenti incompatibili o alternativi, l’estinzione, tecniche specifiche di alimentazione, l’esercizio fisico contingente e l’uso di interventi combinati al fine di migliorare e rafforzare le strategie utili.
Nella fase finale del percorso vengono fissati incontri periodici di presa visione dei progressi.
Il coinvolgimento dei familiari è fondamentale durante il trattamento e attraverso parent-training si analizzano le caratteristiche del disturbo, le difficoltà riscontrate da questi ultimi nell’approcciarsi a tale sofferenza e a capire come superarle.
Il trattamento può essere integrato con interventi di gruppo specifici per il disturbo che coinvolge tutte le figure impegnate sul caso: il terapeuta individuale, il terapeuta che si occupa del parent training, i genitori che sono alleati fondamentali per il superamento del disturbo ed eventuali figure medico-nutrizionali e psichiatriche.
Gli approcci terapeutici maggiormente accreditati per bambini e adolescenti sono i trattamenti di Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT, Rational Emotive Behavior Therapy), l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Schema Therapy, la Mindflulness con protocolli specifici per età, e la Dialectical Behavior Therapy (DBT). Trattamenti adatti all’apprendimento di abilità di autoregolazione emotiva, ad acquisire flessibilità, integrare i dilemmi dialettici alla base della sofferenza e comprendere quali aspetti della vita accettare e quali cambiare.
Altro trattamento non meno importante è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing – Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) la quale permette, lavorando sul passato, la rielaborazione dei ricordi che hanno contribuito allo sviluppo del disturbo rinforzando tutte le risorse del paziente, affinché possa gestire anche nel presente e nel futuro momenti di particolare vulnerabilità.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association: DSM-5 Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 5 ed. (2013).Tr.it. Milano, Raffaello Cortina 2014.
NICE. (2017). Eating disorders: recognition and treatment (NG69). In. London: National Institute for Clinical Excellence.
Il disturbo di panico si manifesta con ricorrenti attacchi di panico inaspettati, che consistono in un’improvvisa paura intensa che raggiunge il picco in pochi minuti accompagnata da sintomi somatici (palpitazioni, tachicardia, sudorazione, tremori, senso di soffocamento, nausea, vertigini, brividi, vampate) e dalla paura di perdere il controllo e di impazzire. Rispetto agli adulti, nei bambini e negli adolescenti gli attacchi di panico sono spesso più drammatici nella loro manifestazione (urla, pianti, agitazione motoria e fuga). Si sviluppano spontaneamente a partire da uno stato di quiete o da uno stato ansioso ma, nel tempo, i bambini iniziano ad attribuirli ad alcune situazioni e/o ambienti in cui temono che possano ripresentarsi, motivo per cui inizia ad evitarli (es. evitamento dell’esercizio fisico o di situazioni non familiari). L’età media di insorgenza è tra i 15 e i 19 anni.
Numerosi studi controllati attestano l’efficacia dell’approccio cognitivo comportamentale, individuale e di gruppo, nel trattamento dei disturbi d’ansia nei bambini e negli adolescenti.
Altri interventi efficaci per il trattamento del disturbo d’ansia sono i protocolli specifici del Cool Kids Program e della REBT (Terapia razionale emotiva e comportamentale). Per una maggiore efficacia del trattamento la letteratura suggerisce un percorso di Parent Training, finalizzato a coinvolgere i genitori nel programma riabilitativo e terapeutico intrapreso dal figlio.
BIBLIOGRAFIA
Il Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo è un disturbo alimentare che si manifesta attraverso apparente disinteresse da parte del bambino per il mangiare, evitamento del cibo sulla base di alcune caratteristiche sensoriali (olfattiva, tattile, ecc.), timori per le conseguenze negative in seguito all’ingestione del cibo.
Il disturbo viene diagnosticato quando un problema della nutrizione o dell’alimentazione, come la mancanza di interesse per il mangiare, provoca l’incapacità di soddisfare le appropriate necessità nutrizionali o energetiche, come segnalato da almeno uno dei seguenti aspetti: significativa perdita di peso (o nei bambini mancato raggiungimento dell’aumento ponderale previsto oppure una crescita discontinua); significativo deficit nutrizionale; dipendenza dall’alimentazione parenterale oppure da supplementi nutrizionali; compromissione del funzionamento sociale (per esempio, evitare di incontrare amici negli eventi sociali dove è presente il cibo).
Il disturbo non è dovuto alla materiale indisponibilità di cibo o a una pratica stabilita culturalmente. I sintomi non sono parte di un altro disturbo alimentare, non sono dovuti a un altro disturbo mentale o condizione medica.
I neonati che soffrono di questo disturbo possono sembrare troppo assonnati, stressati o agitati nel momento in cui devono essere alimentati. Sia i neonati che i bambini possono non collaborare con il genitore durante l’alimentazione e apparire irritabili, mentre nei bambini più grandi e negli adolescenti spesso il disturbo è associato a problematiche emotive che, però, non soddisfano i criteri di disturbo d’ansia, depressivo o bipolare.
Il funzionamento familiare può influenzare negativamente, basti pensare allo stress vissuto al momento dei pasti o in altri contesti conviviali in cui sono presenti amici o parenti (DSM 5, 2014).
TRATTAMENTO
Il trattamento è multidisciplinare e prevede l’intervento di varie figure sanitarie per occuparsi dell’aspetto medico, psicologico e nutrizionale (Zimmerman & Fisher, 2017; Brigham et al., 2018).
La letteratura ha più volte dimostrato come il trattamento cognitivo-comportamentale, sia l’approccio migliore alla cura di questo disturbo che prevede nella fase iniziale l’analisi funzionale del comportamento per identificare i rinforzi contingenti, l’automonitoraggio per migliorare il proprio comportamento alimentare e lavorare sugli antecedenti, tecniche di rilassamento per diminuire l’arousal fisiologico, desensibilizzazione sistematica e uso di rinforzi positivi. Tecniche utilizzate per intervenire sui meccanismi di mantenimento del disturbo come, ad esempio, la sensibilità sensoriale ad alcune caratteristiche del cibo (Birgham et al., 2018; Dumont et al., 2019).
Vista l’età di insorgenza del disturbo, è molto importante fare un lavoro con i genitori dei bambini e adolescenti attraverso parent-training sulla rialimentazione nel contesto domestico (Bourne et al., 2020). Il trattamento può essere integrato con interventi di gruppo specifici per il disturbo che coinvolge tutte le figure impegnate sul caso.
Gli approcci terapeutici maggiormente accreditati per bambini e adolescenti sono i trattamenti di Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT, Rational Emotive Behavior Therapy), l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Schema Therapy, la Mindflulness con protocolli specifici per età, e la Dialectical Behavior Therapy (DBT). Trattamenti adatti all’apprendimento di abilità di autoregolazione emotiva, ad acquisire flessibilità, integrare i dilemmi dialettici alla base della sofferenza e comprendere quali aspetti della vita accettare e quali cambiare.
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Bourne, L., Bryant-Waugh, R., Cook, J., & Mandy, W. (2020). Avoidant/restrictive food intake disorder: A systematic scoping review of the current literature. Psychiatry Research, 288, 112961.
Brigham, K. S., Manzo, L. D., Eddy, K. T., & Thomas, J. J. (2018). Evaluation and Treatment of Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder (ARFID) in Adolescents. Current Pediatrics Reports, 6(2), 107–113.
Dumont, E., Jansen, A., Kroes, D., Haan, E. De, & Mulkens, S. (2019). A new cognitive behavior therapy for adolescents with avoidant / restrictive food intake disorder in a day treatment setting: A clinical case series. February, 447–458.
Zimmerman, J., & Fisher, M. (2017). Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder (ARFID). Current Problems in Pediatric and Adolescent Health Care, 47(4), 95–103.
L’encopresi è un disturbo dell’evacuazione che si manifesta con episodi di rilascio, principalmente involontario ma anche intenzionale, di feci nei vestiti o sul pavimento per circa una volta al mese per almeno tre mesi consecutivi. Si effettua diagnosi dai 4 anni, quando plausibilmente dovrebbe essere stato acquisito un sufficiente controllo. La difficoltà a controllare l’emissione delle feci è vissuta con umiliazione per il timore di essere scoperti e di essere criticati. L’autostima si abbassa, le attività ricreative o sportive possono essere pregiudicate e si possono evidenziare tendenze all’isolamento ed eccessiva dipendenza dai genitori.
Possiamo suddividere l’encopresi in primaria e secondaria: l’encopresi primaria, si presenta prima del regolare controllo sfinterico mentre l’encopresi secondaria, arriva dopo che il bambino ha imparato a controllare lo sfintere. Sono differenti le cause (fisiche e psicologiche) e caratteristiche specifiche a seconda anche dell’età del bambino.
L’encopresi, come l’enuresi, incide sulle relazioni interpersonali e familiari, generando un vero e proprio squilibrio affettivo, sviluppando ansia, depressione e atteggiamenti autodistruttivi (DSM V, 2014).
TRATTAMENTO
Il trattamento cognitivo-comportamentale (TCC) rappresenta la psicoterapia che ad oggi ha mostrato maggiore efficacia nel trattamento dell’encopresi. Talvolta si rende necessario agire affiancando al percorso psicologico anche il pediatra o il gastroenterologo pediatrico nei casi di costipazione in cui potrebbe essere vantaggioso ricorrere a blandi lassativi allo scopo di favorire lo svuotamento intestinale e alla definizione di un corretto regime alimentare.
Il trattamento prevede sessioni di lavoro sia con il bambino che con i genitori e bambino al fine di prevenire la cronicizzazione del disturbo. La fase psicoeducativa con i genitori e il bambino tiene conto della relazione dei genitori rispetto al problema di encopresi. Ai genitori vengono fornite spiegazioni del funzionamento e vengono aiutati alla gestione del problema evitando punizioni, disapprovazione o rabbia manifesta nei confronti del figlio.
Il trattamento per l’encopresi si focalizza sull’analisi funzionale del comportamento, una fase di descrizione e comprensione del disturbo che mira a dare delle istruzioni sui comportamenti adeguati e di supporto finalizzate alla riduzione dei sintomi. La terapia è inoltre incentrata sulla gestione dei problemi emotivi caratterizzati da ansia, paura e vergogna per la propria condizione d’incapacità di controllo al fine di modificare gli atteggiamenti disfunzionali del bambino e dei familiari legati all’encopresi all’interno di un approccio collaborativo. A livello comportamentale si stabiliscono dei compiti: comportamenti ripetitivi utili ad acquisire una certa regolarità della defecazione e abitudini relative all’uso del gabinetto. È necessario che il bambino abbia ritmi alimentari il più possibile regolari, nonché una buona igiene del sonno. Importante anche l’esercizio fisico. Risultano efficaci e vantaggiose le tecniche comportamentali basate sull’uso del rinforzo e tecniche atte ad aumentare la capacità di riconoscere lo stimolo defecatorio con l’obiettivo di ridurre o eliminare i comportamenti inadeguati.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Lambruschi F., “Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche”. Edizioni Bollati Boringhieri, Torino 2014.
Vio C., Lo Presti G., “Diagnosi dei disturbi evolutivi. Modelli, criteri diagnostici e casi clinici”, aggiornato al DSM V, Edizioni Erickson, Trento 2014.
Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano 2007.
L’enuresi è un disturbo dell’evacuazione che consiste nell’incapacità del controllo sfinterico uretrale. Si manifesta con episodi di rilascio, principalmente involontario ma anche intenzionale, di urina nel letto o nei vestiti per circa due volte alla settimana per almeno tre mesi consecutivi. Si effettua diagnosi a partire dai 5 anni, quando plausibilmente dovrebbe essere stato acquisito un sufficiente controllo. Questo comportamento causa disagio e grave compromissione del funzionamento personale, sociale e scolastico.
Può presentarsi in comorbidità con disturbi del sonno, come: le parainsonnie (l’urinare durante la notte va ad inficiare sulla continuità del sonno) e le apnee notturne (stimolano la vescica a liberarsi). È possibile distinguere tra “enuresi notturna” ed “enuresi diurna” in base a quando il bambino tende a bagnarsi (DSM V, 2014).
TRATTAMENTO
La psicoterapia cognitivo-comportamentale (TCC) rappresenta il trattamento che ad oggi ha mostrato maggiore efficacia per l’enuresi. Il trattamento prevede sessioni di lavoro sia con il bambino che con i genitori al fine di prevenire la cronicizzazione del disturbo. Talvolta si rende necessario intervenire affiancando al percorso psicologico anche la terapia farmacologica.
Il trattamento è prevalentemente di tipo comportamentale e vengono impiegate tecniche comportamentali adattate alla situazione specifica prendendo spunto dalle informazioni raccolte, dall’osservazione clinica e dai fattori contestuali. Si focalizza sull’analisi funzionale del comportamento, una fase di descrizione e comprensione del disturbo che mira a fornire delle istruzioni sui comportamenti adeguati e di supporto finalizzate alla riduzione dei sintomi.
Il trattamento è volto a sollecitare il bambino ad assumere adeguate abitudini come, ad esempio, incoraggiarlo a svuotare la vescica con frequenza sufficiente (ogni 2-3 ore al giorno) e ad evitare, durante il giorno, situazioni di urgenza e di incontinenza. È buona abitudine la sera, urinare prima di andare a letto e non bere eccessivamente.
Durante la notte, può essere previsto anche l’impiego di apparecchiature come, ad esempio l’alarm training, un allarme acustico che permettere l’apprendimento di abilità specifiche di controllo urinario. Viene posto un allarme nella biancheria intima (o nelle lenzuola) del bambino in modo che il sensore possa rilevare l’umidità provocata dalla fuoriuscita dell’urina. Quando lo strumento rileva la presenza di urina l’allarme inizia a suonare, svegliando il bambino (Caldwell et al., 2013).
Vengono inoltre fornite delle specifiche indicazioni per aiutare il bambino a rilassare i muscoli del pavimento pelvico attraverso anche esercizi di respirazione.
Un aspetto molto importante è la fase psicoeducativa con i genitori e il bambino che tiene conto della relazione dei genitori rispetto al problema di enuresi. I genitori vengono invitati e aiutati alla gestione del problema evitando punizioni, disapprovazione o rabbia manifesta nei confronti del figlio. Vengono fornite inoltre spiegazioni del funzionamento della diuresi, della minzione, e vengono insegnati esercizi di controllo urinario su come interrompere, trattenere il flusso e riprendere la minzione volontariamente. Potrebbe essere utile tenere un calendario delle occasioni in cui il problema è stato gestito bene dal bambino come, ad esempio, una notte senza pipì a letto, per tale ragione si consigliano ulteriori tecniche come la Token economy, rinforzo positivo o un programma di rinforzo differenziale supportando con dei premi il comportamento adeguato.
BIBLIOGRAFIA
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Warzak W.J., Friman P.C., L’impiego dell’allarme acustico nella terapia dell’enuresi notturna primaria. In “Trattamenti comportamentali per i disturbi del sonno” a cura di Perlis M., Aloia.
I disturbi del comportamento comprendono una serie di condotte definite “esternalizzanti”, in quanto il disagio interno viene rivolto verso l’esterno attraverso condotte disfunzionali come l’aggressività, l’impulsività, la sfida, la violazione delle regole e altre condotte considerate socialmente inappropriate. In età prescolare e scolare, gli accessi comportamentali possono verificarsi in modo isolato e temporaneo oppure possono rappresentare dei veri e propri campanelli d’allarme per l’insorgenza di futuri disturbi del comportamento.
La capacità di agire in maniera adeguata rispetto alle norme sociali e di regolare autonomamente il proprio comportamento costituiscono due aspetti basilari dello sviluppo del bambino. Si tratta, tuttavia, di capacità complesse, che vengono acquisite gradualmente nel corso dell’intera infanzia. Fare affidamento sulla presenza dell’adulto nella regolazione delle proprie emozioni e del proprio comportamento è fondamentale per il bambino almeno fino ai tre anni di vita (Eisenberg et al., 2010).
Per i disturbi del comportamento numerosi studi indicano una maggiore efficacia terapeutica in interventi multimodali espletati a diversi livelli: familiare, individuale, scolastico e socioambientale. La letteratura scientifica attesta l’efficacia della psicoterapia cognitivo- comportamentale rivolta al soggetto e incontri di parent training rivolti ai genitori. Altri interventi efficaci sono il Coping Power, rivolto a bambini di età compresa dai 7 ai 14 anni e la DBT-A (Dialetical Behavior Therapy Adolescents) rivolto agli adolescenti. Entrambi i programmi sono strutturati per coinvolgere nel trattamento i genitori.
Eisenberg, N., Spinrad, T. L., &Eggum, N. D. (2010). Emotion-related self-regulation and its relation to children’s maladjustment. Annual Review of Clinical Psychology, 6, 495-525.
Roskam, I. (2018). Externalizing behavior from early childhood to adolescence: Prediction from inhibition, language, parenting, and attachment. Development and Psychopathology, 1-13.
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Lochman J.E., Wells K.C., Lenhart L.A.(2012). Coping Power. Programma per il controllo della rabbia e aggressività i bambini e adolescenti (a cura di Muratori P., Polidori L., ruglioni L., Manfredi A., e Milone A.) Edizione italiana.
American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano 2007.
Jill H. Rathus, Alec L. Miller. Manuale DBT per adolescenti. Raffaello Cortina Editore 2020.
I disturbi della comunicazione si possono manifestare con difficoltà connesse alla comprensione linguistica e difficoltà connesse prevalentemente alla produzione corretta delle parole, oppure difficoltà relative al normale fluire e alla cadenza della voce, come la balbuzie.
Tali disturbi presentano varie espressioni, possono manifestarsi isolati o in comorbidità con altri disturbi quali disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbo da deficit di attenzione-iperattività, disturbi dell’apprendimento, enuresi, ritiro sociale. Spesso sono espressione di disagi emotivi, come ansia, stress e paure, in particolare correlati a fasi di cambiamento della vita.
Per quanto riguarda l’esordio, i primi sintomi compaiono nella fascia d’età 18-30 mesi e sono rappresentati da difficoltà di comprensione del linguaggio parlato, limitato uso di gesti o lentezza nello sviluppo del linguaggio.
Il trattamento si snoda in vari percorsi: logopedia, psicoterapia, parent training e anche una combinazione di questi diversi approcci.
Si distinguono i seguenti disturbi:
Disturbo espressivo del linguaggio: è una persistente difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di diverse modalità di linguaggio dovute a deficit della comprensione o della produzione che comprendono la difficoltà ad imparare parole nuove, ad usare determinati vocaboli, a congiungere dei verbi, a produrre frasi complesse, un linguaggio limitato sul piano quantitativo, errori nell’utilizzare determinate parole, frasi molto corte e poco variegate, utilizzo limitato o grossolano di strutture grammaticali semplici, omissioni di parti importanti della frase, uso di parole in ordine insolito.
Il disturbo appare più frequente nei maschi in età prescolare e può essere acquisito, per cui la compromissione è legata a fattori neurologici seguenti un periodo di sviluppo normale, oppure il bambino può iniziare a parlare in ritardo e sviluppa competenze linguistiche in maniera lenta rispetto alla media. Tra le cause principali alcuni fattori genetici predisponenti, la presenza di lievi danni celebrali o ritardi di maturazione. Sono stati valutati anche dei fattori psicologici che possono incidere sulle cause e sul mantenimento del disturbo.
Al disturbo possono essere associati difficoltà sociali, scolastiche che incidono sull’autostima e possono evolvere in disturbi depressivi. In alcune situazioni, si associano disturbi dell’apprendimento, difficoltà di attenzione, crisi di rabbia, enuresi, scarso rispetto delle regole.
Disturbo fonatorio del linguaggio: si esprime con l’incapacità di utilizzare i suoni del linguaggio rispetto all’età, è molto più frequente nei maschi che non nelle femmine e generalmente non è accompagnato da anomalie fisiche. Si manifestano errori, omissioni, sostituzioni di suoni che risultano dunque inadeguati: anche in questo caso esistono gradi di gravità, da lieve a grave, in base all’impatto sul linguaggio. Le cause possono essere più di una, genetiche, perinatali, uditive.
Le conseguenze immediate del disturbo di fonazione sono il cattivo andamento scolastico e la scarsa interazione sociale, fino anche al disturbo da deficit di attenzione e iperattività, disturbo d’ansia di separazione e disturbo depressivo.
Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia (balbuzie): è un’alterazione della normale fluenza e della cadenza dell’eloquio, inappropriate per l’età e per le abilità linguistiche dell’individuo. Persistono nel tempo e si caratterizzano per il marcato e frequente manifestarsi di uno o più dei seguenti elementi: ripetizioni di suoni o sillabe, prolungamenti dei suoni delle consonanti o delle vocali, interruzioni di parole, blocchi udibili o silenti, circonlocuzioni, parole pronunciate con eccessiva tensione fisica, ripetizione di intere parole monosillabiche. Molti bambini, in età prescolare, attraversano periodi di balbuzie, tendono a ripetere parole intere o frasi, utilizzano riempitivi o presentano difficoltà ad accedere al lessico appropriato. Si tratta di una ripetizione di sillabe senza tensione spasmodica o clonica, ma che in base alla risposta dell’ambiente, riguardo alle esitazioni e incertezze nella produzione dell’atto verbale (ansia dei genitori, urgenza nel correggere ogni errore o anomalia nel fluire del linguaggio) possono rinforzarsi e cronicizzarsi. Queste fasi della balbuzie possono essere transitorie, legate a situazioni traumatiche o a cambiamenti di vita: per la maggior parte di essi, infatti, queste manifestazioni si risolvono autonomamente e non richiedono alcun trattamento logopedico o psicoterapico.
La balbuzie, oltre a compromettere l’intenzionalità comunicativa del bambino, porta con sé una vasta gamma di sintomi secondari: difficoltà nel mantenere il contatto oculare, repentini movimenti della testa, smorfie, ecc. che sono utilizzati dal bambino stesso come strategie di coping in previsione della balbuzie al fine di ridurne la gravità. Questo complesso quadro diagnostico comprende anche il manifestarsi di un vissuto interiore problematico nel bambino che balbetta: egli, infatti, sperimenterà una serie di emozioni, quali rabbia, vergogna e paura, che favoriranno il rischio di incrementare anche comportamenti disadattivi quale, ad esempio, l’evitamento delle situazioni sociali.
In genere il disturbo insorge intorno ai 30 mesi di età.
Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica): persistenti difficoltà nell’uso sociale della comunicazione verbale e non verbale che si manifestano attraverso deficit nell’uso della comunicazione per scopi sociali, compromissione della capacità di modificare la comunicazione per renderla adeguata al contesto o alle esigenze di chi ascolta, difficoltà nel seguire le regole della conversazione, come il rispetto dei turni o il saper utilizzare i segnali verbali e non verbali per regolare l’interazione, difficoltà nel capire quello che non viene esplicitato chiaramente (fare inferenze) e i significati ambigui.
TRATTAMENTO
Prima di ogni intervento è importante ricorrere alla valutazione neuropsicologica in quanto in molti casi alla base dei disturbi di comunicazione si riscontra una difficoltà o una fragilità nelle funzioni cognitive.
Il piano d’intervento può essere strutturato attraverso diversi modelli terapeutici, considerando l’età del bambino, il suo livello di competenze linguistiche, la gravità delle difficoltà comunicative e i bisogni del bambino e della sua famiglia.
La Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) è uno degli approcci evidence-based utilizzati con tali disturbi. Essa descrive il disagio psicologico come una complessa interazione di pensieri, emozioni e comportamenti. Lo scopo della TCC mira a identificare questi schemi, le loro caratteristiche, la loro origine e le conseguenze negative che possono generare nella vita della persona. Secondariamente, costruisce un percorso di cambiamento consapevole di questi schemi che possa concedere maggior benessere e favorire il raggiungimento degli scopi personali. La psicoterapia cognitiva e comportamentale agisce su emozioni, pensieri (schemi cognitivi) e comportamenti in modo attivo.
La Play Therapy Cognitivo Comportamentale viene utilizzata con i bambini più piccoli (2,5 anni-8 anni) per far assumere un ruolo attivo al minore nel processo di cambiamento e nella padronanza dei problemi.
Fondamentali risultano gli interventi di Parent Training e Teacher Training utili per fornire una psicoeducazione sul disturbo e delle strategie comunicative più adeguate alla famiglia e alla scuola.
Le modalità di intervento utilizzano prevalentemente il canale verbale, tuttavia è possibile far sviluppare le abilità socio comunicative anche con l’utilizzo di modalità non verbali come: la CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa), le istruzioni basate sull’utilizzo di strumenti computerizzati (Potenziamento cognitivo) e il video modeling.
Per quanto riguarda le difficoltà emotive-comportamentali connesse alle difficoltà comunicative, sempre di stampo cognitivo comportamentale, funzionali risultato gli interventi REBT- Terapia Razionale Emotiva Comportamentale, Cool Kids (7-16 anni), Schema Therapy e ACT-Acceptance and Commitment Therapy . I primi due percorsi sono di gruppo, l’ACT invece è individuale e tutti aiutano il soggetto a sviluppare una consapevolezza e una successiva modifica più adattiva dei processi di pensiero che portano a provare determinate emozioni e ad attuare conseguenti comportamenti.
Rispetto alle terapie individuali, di notevole importanza risulta anche l’EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing – Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), un approccio terapeutico utilizzato per il trattamento del trauma e di problematiche legate allo stress, soprattutto allo stress traumatico.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano 2007.
Lambruschi F., “Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche”. Edizioni Bollati Boringhieri, Torino 2014.
Vio C., Lo Presti G., “Diagnosi dei disturbi evolutivi. Modelli, criteri diagnostici e casi clinici”, aggiornato al DSM V, Edizioni Erickson, Trento 2014.
I disturbi del movimento hanno un esordio precoce nell’età dello sviluppo e comportano difficoltà motorie di vario genere.
Essi comprendono: il disturbo dello sviluppo della coordinazione (disprassia), il disturbo del movimento stereotipato e il disturbo da tic.
Il trattamento deve essere mirato ai sintomi specifici e all’età del bambino, attraverso la terapia comportamentale, la psicoterapia, il parent training, la terapia farmacologica e la combinazione di questi diversi approcci.
TRATTAMENTO
Il primo passo da compiere è effettuare una valutazione neuropsicologica, quest’ultima permette di avere una corretta valutazione della sintomatologia, dalla ricostruzione della storia dell’evoluzione e dello sviluppo delle funzioni motorie.
L’intervento per il disturbo del movimento è di tipo multimodale e prevede una combinazione d’interventi di tipo farmacologico, psicoeducativo, psicoterapeutico e di psicomotricità.
Vi sono farmaci, come gli antidepressivi o il naltrexone, che possono contribuire a ridurre i sintomi.
I miglioramenti più duraturi di tipo comportamentale si ottengono affiancando alla terapia farmacologica un programma cognitivo-comportamentale composto da tecniche e strategie cognitive e comportamentali in grado di aiutare i bambini, i genitori e gli insegnanti a comprendere e gestire i comportamenti motori.
Di fondamentale importanza quindi risultano i percorsi da compiere parallelamente al trattamento cognitivo-comportamentale con il bambino, quali il Parent Training e il Teacher Training.
Attraverso il Parent Training si insegnano ai genitori competenze specifiche per ottenere una riduzione dei livelli di stress, una efficace comunicazione e un lavoro specifico sui comportamenti disfunzionali.
Attraverso il Teacher Training invece verranno fornite indicazioni agli insegnanti sulla strutturazione e organizzazione dell’ambiente scolastico considerando le caratteristiche e i bisogni specifici del bambino, al fine di migliorare la capacità di attenzione e motivazione all’apprendimento e favorire la socializzazione in classe. Per quanto riguarda le difficoltà emotive-comportamentali, sempre di stampo cognitivo comportamentale, funzionali risultato gli interventi REBT- Terapia Razionale Emotiva Comportamentale e l’ACT-Acceptance and Commitment Therapy .L’ACT aiuta il soggetto a sviluppare una consapevolezza e una successiva modifica più adattiva dei processi di pensiero che portano a provare determinate emozioni e ad attuare conseguenti comportamenti.
La Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) è uno degli approcci evidence-based utilizzati con tali disturbi. Essa descrive il disagio psicologico come una complessa interazione di pensieri, emozioni e comportamenti. Lo scopo della TCC mira a identificare questi schemi, le loro caratteristiche, la loro origine e le conseguenze negative che possono generare nella vita della persona. Secondariamente, costruisce un percorso di cambiamento consapevole di questi schemi che possa concedere maggior benessere e favorire il raggiungimento degli scopi personali.
BIBLIOGRAFIA
Lambruschi F., “Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche”. Edizioni Bollati Boringhieri, Torino 2014.
Vio C., Lo Presti G., “Diagnosi dei disturbi evolutivi. Modelli, criteri diagnostici e casi clinici”, aggiornato al DSM V, Edizioni Erickson, Trento 2014.
I Disturbi del sonno-veglia sono molto frequenti nell’infanzia e causano disagio e preoccupazione ai genitori. Si stima che circa il 25% dei bambini possa soffrire di un disturbo del sonno durante un arco di tempo che va dall’infanzia all’adolescenza. Nella maggior parte dei casi il problema “si auto-risolve” con il tempo, ma in qualche caso può persistere causando turbe emotive e del comportamento e peggioramento della qualità di vita familiare. In età pediatrica/adolescenziale vi sono:
Il disturbo da insonnia può manifestarsi con disturbi di inizio e/o di mantenimento del sonno, anche se le manifestazioni più frequenti sono il “rifiuto” di andare a dormire e la difficoltà a riaddormentarsi autonomamente durante i risvegli notturni. Le cause possono essere di natura medica (ad es. assunzione di determinati farmaci, dolori ecc.) o comportamentali (mancanza di un ritmo sonno-veglia regolare, scarsa igiene del sonno, associazioni negative con il sonno ecc.).
L’insonnia è presente in circa il 20-30% dei bambini nei primi 2 anni di vita e si riduce al 15% dai 3 anni in poi.
Il disturbo da ipersonnolenza si palesa pienamente nella tarda adolescenza con sintomi che iniziano intorno ai 15 anni. Si caratterizza per un’eccessiva sonnolenza nonostante un periodo principale di sonno della durata di almeno 7 ore, a cui si associano frequenti pisolini involontari durante la veglia. Oppure è presente un tempo di sonno prolungato di circa 9 ore con difficoltà ad essere pienamente vigili al risveglio.
La narcolessia ha un esordio nei bambini e negli adolescenti. Si qualifica dalla presenza di periodi ricorrenti di irrefrenabile sonnolenza diurna espressa attraverso attacchi di sonno improvvisi e incoercibili e la cataplessia cioè un’improvvisa e transitoria perdita del tono muscolare, che si verifica dopo una forte emozione che può determinare una caduta o un cedimento di un segmento corporeo. A causa di questo disturbo i bambini e adolescenti possono manifestare aggressività o problemi comportamentali secondari alla sonnolenza e/o all’interruzione del sonno notturno.
Tra i Disturbi del sonno correlati alla respirazione presenti in bambini o adolescenti ci sono:
L’apnea/ipopnea ostruttiva del sonno provoca brevi interruzioni respiratorie durante il sonno. Interessa almeno l’1-2% dei bambini e raggiunge un picco intorno ai 3-8 anni e potrebbe risolversi con la crescita. Nei casi di apnea vi è una totale assenza di flusso di aria, mentre nei casi di ipopnea una riduzione. Le conseguenze di tale problematica può provocare un ritardo nella crescita, gola secca, enuresi, disturbi del linguaggio, problemi di deglutizione, mal di testa mattutini, problemi comportamentali e di apprendimento.
L’Ipoventilazione correlata al sonno può manifestarsi nei neonati, durante l’infanzia e l’adolescenza a causa della penetranza variabile della mutazione PHOX2B. È una rara condizione caratterizzata da una respirazione poco profonda che comporta sia alti livelli di anidride carbonica sia bassi livelli di ossigeno durante il sonno. Sonnolenza diurna, frequenti risvegli notturni, mal di testa mattutini e problemi di insonnia sono sintomi comuni. Può provocare insufficienza cardiaca e problemi nel cervello.
Disturbo circadiano del ritmo sonno-veglia di tipo fase di sonno ritardata si manifesta con un ritardo dei tempi del principale periodo di sonno (di solito più di due ore) in relazione al tempo desiderato di sonno e risveglio, con conseguenti sintomi di insonnia e di sonnolenza eccessiva. È riscontrabile una difficoltà nel risveglio con confusione mattutina. I sintomi iniziano tipicamente nell’adolescenza come conseguenza di fattori sia fisiologici che comportamentali.
Le Parasonnie sono disturbi caratterizzati da esperienze o comportamenti anomali e da eventi fisiologici che si verificano durante il sonno o durante l’inizio del risveglio. Nell’infanzia e nell’adolescenza sono presenti i seguenti:
Disturbi dell’arousal del sonno non-REM si verificano più comunemente durante l’infanzia e la loro frequenza diminuisce con l’aumentare dell’età. Riguardano episodi di risvegli incompleti dal sonno, accompagnati da sonnambulismo o da terrori del sonno (o pavor nocturnus). Il sonnambulismo indica il ripetersi di episodi di comportamento motorio complesso durante il sonno, come per esempio alzarsi dal letto, camminare. Durante tali episodi il sonnambulo ha un’espressione fissa, vuota ed è scarsamente reattivo agli sforzi che gli altri intorno a lui compiono per comunicare con lui o svegliarlo. I terrori nel sonno sono risvegli bruschi e frequenti accompagnati da intensa paura e attivazione fisiologici.
Disturbo da incubi si manifesta soprattutto in età prescolare fino all’adolescenza. Gli incubi sono sogni vividi e dettagliati che causano sentimenti di ansia, paura e preoccupazione. Spesso il contenuto dell’incubo riguarda tentativi di fronteggiare un pericolo imminente.
I disturbi del sonno indotto da sostanze o farmaci è un’alterazione rilevante del sonno, abbastanza grave da richiedere un’attenzione clinica indipendente e che si ritiene specificatamente e strettamente associata agli effetti prodotti dall’assunzione di una sostanza o di un farmaco. Il bambino potrebbe sperimentare un disturbo del sonno in coincidenza all’assunzione di un farmaco
TRATTAMENTO
Il disturbo del sonno potrebbe essere conseguente a un altro disturbo, soprattutto nei casi di disturbi d’ansia e dell’umore (es. depressione) pertanto è buona prassi tenerne conto. In entrambi i casi il suo trattamento ha effetti benefici sia sul sonno che sulla patologia associata. Il trattamento sul sonno può essere integrato all’utilizzo di farmaci se lo si ritiene opportuno.
La terapia maggiormente accreditata è il Trattamento Cognitivo-Comportamentale (TCC) che attraverso un intervento psicologico, individuale o di gruppo, mira a modificare le convinzioni e le aspettative sul sonno che alimentano il disturbo attraverso la ristrutturazione cognitiva. In particolare, alcune valutazioni spesso catastrofiche che le persone insonni fanno di una determinata situazione producono risposte emotive negative come ansia, tristezza, rabbia che a loro volta impediscono il sonno e creano un circolo vizioso che mantiene e alimenta il disturbo del sonno (Morin, 1993). Per i vari disturbi si applicano interventi cognitivi e comportamentali specifici e sono impiegate varie tecniche come la Tecnica del Controllo degli Stimoli (Bootzin, 1972; Bootzin et al., 1991), la Tecnica della Restrizione del Sonno (Glovinsky e Spielman,1991; Spielman, Saskin, Thorpy 1987) il monitorare l’igiene del sonno e la psicoeducazione, utili per il trattamento dell’insonnia oltre a tecniche di rilassamento come il Training Autogeno, basato prevalentemente sull’insegnamento delle tecniche di rilassamento muscolare progressivo e di semplici tecniche di immaginazione che aiutano a migliore qualità e continuità del sonno.
Nei bambini più piccoli è necessario considerare le risorse psicologiche dei genitori e le loro credenze rispetto al sonno del bambino, al fine di impostare incisivi Parent Training mirati a produrre cambiamenti sia sul piano cognitivo che sul piano comportamentale.
L’Acceptance & Commitment Therapy (ACT) è un trattamento alternativo alla CBT. L’elemento chiave di questo approccio è l’accettazione da parte del paziente di ciò che è fuori dal suo controllo, come la paura del buio nei bambini, e fornisce un approccio differente nel trattamento delle cognizioni ansiose, utilizzando principalmente una tecnica detta defusione cognitiva, attraverso la quale si propone di insegnare ai pazienti a separarsi o distanziarsi dal contenuto e dal significato dei loro pensieri.
Anche l’impiego della Mindfulness, che utilizza vari programmi specifici per età, è efficace se integrata alla terapia cognitivo-comportamentale. Aiuta bambini e adolescenti a portare l’attenzione sul presente, a concentrarsi su un pensiero o una sensazione alla volta. Questo calma la mente e riduce la forza e la pervasività di pensieri negativi favorendo un sonno ristoratore.
L’ EMDR (terapia basata sulla desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è inclusa tra gli strumenti terapeutici utili nel trattamento degli incubi associati ai traumi infantili o dell’attaccamento. I traumi sono esperienze avverse che creano una mancata integrazione nel cervello del bambino, disorganizzano la sua mente, hanno ricadute negative sul modo di gestire gli eventi stressanti e sulle sue relazioni interpersonali.
BIBLIOGRAFIA
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Bootzin, R. R. Stimulus control treatment for insomnia. In APA 80th Annual Convention, Honolulu, HI, September 2-8, 1972.
Glovinsky, P. B., & Spielman, A. J. (1991). Sleep restriction therapy. In Case studies in insomnia (pp. 49-63). Springer US.
Morin, C. M. (1993). Insomnia: Psychological assessment and management (Vol. 104, pp. 205-207). D. H. Barlow (Ed.). New York: Guilford Press.
I disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) sono una categoria “nosografica” caratterizzata dalla persistente difficoltà di apprendimento delle abilità scolastiche chiave. Si tratta di difficoltà “specifiche” in quanto il disturbo interessa uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale.
Il termine “Disturbo Specifico dell’Apprendimento” fa riferimento ad una ben precisa categoria diagnostica dal punto di vista clinico e scientifico, identificata da criteri oggettivi e valutabili, e pertanto va distinto dalla più generica espressione “difficoltà di apprendimento”, che include tipologie molto diverse di difficoltà che si possono manifestare nell’ambito scolastico.
Nonostante i Disturbi Specifici dell’Apprendimento riguardino un ambito specifico (come lettura, scrittura o calcolo), nella pratica clinica è più frequente incontrare l’associazione di più deficit (ad esempio disturbo specifico di lettura, o Dislessia evolutiva, e disturbo specifico di scrittura). Si tratta comunque di disturbi distinti, ognuno con una propria fisionomia.
Il principale criterio necessario per stabilire la diagnosi di DSA è quello della “discrepanza” tra abilità nel dominio specifico interessato (deficitaria in rapporto alle attese per l’età e/o la classe frequentata) e l’intelligenza generale (adeguata all’età cronologica).
Le abilità scolastiche risultano quindi al di sotto di quelle attese per età e scolarità, causando una significativa interferenza con il rendimento scolastico o lavorativo.
L’incidenza di questi disturbi è stimabile mediamente attorno al 3/4% a seconda dell’età, nonché dei criteri e degli strumenti utilizzati dai ricercatori.
Sebbene questi disturbi siano in relazione con la maturazione biologica, ciò non implica che i bambini affetti siano semplicemente all’estremo più basso di un normale continuum e che, quindi, riguadagneranno col tempo il terreno perduto; avviene invece che, a seconda del grado di difficoltà, l’acquisizione delle competenze richieste, pur modificandosi nel tempo, non raggiunga quasi mai i livelli attesi per età e/o scolarità.
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento si suddividono in:
Il bambino dislessico riesce a leggere e scrivere, ma solo impegnando al massimo le sue capacità e le sue energie, poiché non può farlo in maniera automatica: per questo motivo, si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro, non impara. La dislessia non è causata da un deficit di intelligenza né da problemi ambientali o psicologici o da deficit sensoriali o neurologici e si presenta quasi costantemente in comorbidità con altri disturbi, rendendo i profili e l’espressività dei DSA particolarmente eterogenei.
TRATTAMENTO
I dati di ricerca che la comunità scientifica dispone sono a favore dell’indicazione che l’intervento di trattamento (abilitazione) sia un aspetto importante nell’evoluzione del Disturbo. L’intervento può essere collocato in tutto l’arco dello sviluppo, con l’obiettivo di aiutare il bambino a ridurre gli effetti del Disturbo. Lo scopo di un trattamento, infatti, non è quello di eliminare totalmente le difficoltà presenti, in quanto i DSA dipendono da fattori congeniti e non modificabili che non li rendono “guaribili” in modo definitivo. Tuttavia, nella maggior parte dei casi e in misura dipendente dalla gravità del deficit, le problematiche legate a questi disturbi si riducono con adeguati interventi abilitativi e corrette procedure educative.
Questo significa che nel bambino con DSA non dobbiamo aspettarci, anche intervenendo, l’improvvisa scomparsa della difficoltà, ma piuttosto un lento e progressivo percorso di miglioramento, che non porta però alla remissione totale del disturbo nella maggioranza dei casi.
Un trattamento è da considerarsi efficace nella misura in cui i risultati che produce siano superiori all’evoluzione naturale attesa del disturbo.
In considerazione di questo, lo scopo di un trattamento rivolto ad un bambino con DSA include diversi aspetti quali:
Qualunque tipo di trattamento proposto dovrebbe da un lato proporre tecniche specifiche che riducano il deficit, dall’altro affiancare una serie di misure compensative per permettere al bambino di avanzare nel percorso di apprendimento (ad esempio: uso della calcolatrice o di programmi di videoscrittura al computer con correttore ortografico a scuola).
Riguardo ai metodi di trattamento, il metodo derivato dalla neuropsicologia cognitiva analizza ogni funzione cognitiva e processo di apprendimento nelle sue diverse componenti: questo consente di impostare un piano di trattamento mirato specificamente alle componenti deficitarie.
Tra i trattamenti più efficaci per la lettura (quando è già avviata, ma lenta), risultano di grande utilità quelli che propongono esercizi per l’automatizzazione del riconoscimento di gruppi di grafemi linguisticamente rilevanti sempre più complessi, come le sillabe e poi le parole, soprattutto se si utilizzano software ad hoc. L’utilizzo di software di questo tipo consente di ottenere un incremento della velocità di lettura superiore all’evoluzione spontanea attesa senza interventi riabilitativi specifici.
Un’altra metodologia che si è dimostrata efficace nel migliorare la velocità di lettura di brano, parole e non parole (Tretti, Dal Ben, 2006), è quella che utilizza software che prevedono esercizi per favorire il riconoscimento più veloce ed automatizzato di lettere e di sillabe; questi software sono molto utili per i bambini che sono ancora molto lenti o addirittura non riescono ancora a leggere.
Tra gli interventi possibili, sono importanti anche quelli di natura “metacognitiva”, utili al fine di guidare i soggetti ad affrontare e gestire in modo maggiormente consapevole e strategico le difficoltà incontrate a livello di apprendimento e studio.
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Vio, C., Toso, C. (2007), Dislessia evolutiva: dall’identificazione del disturbo all’intervento, Carocci, Roma.
In età evolutiva il Disturbo d’ansia generalizzato (DAG) si presenta con ansia e preoccupazioni eccessive, che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative a una quantità di eventi o attività quotidiane. L’esordio solitamente avviene all’età di circa 12 anni. I bambini e i ragazzi, nonostante possano essere consapevoli che le loro preoccupazioni sono eccessive rispetto alle diverse situazioni, sentono di non essere in grado di avere un controllo su di esse. Le preoccupazioni più frequenti riguardano le prestazioni scolastiche presenti e future, le prestazioni sportive, le relazioni sociali, le aggressioni fisiche e i disastri naturali. Per cercare di alleviare le loro ansie i bambini ricercano costantemente rassicurazioni e approvazione, assumono atteggiamenti controllanti sugli altri, tendono all’isolamento sociale e a procrastinare. L’ansia e le preoccupazioni sono accompagnati da un’eccessiva attività neurovegetativa (battito cardiaco accelerato, capogiri, secchezza delle fauci, nausea o disturbi gastrointestinali) e da un elevato livello di tensione motoria che può manifestarsi con irrequietezza, affaticamento, tremori o tensione muscolare.
Numerosi studi controllati attestano l’efficacia dell’approccio cognitivo comportamentale, individuale e di gruppo, nel trattamento dei disturbi d’ansia nei bambini e negli adolescenti.
Altri interventi efficaci per il trattamento del disturbo d’ansia sono i protocolli specifici del Cool Kids Program e della REBT (Terapia razionale emotiva e comportamentale). E’ di fondamentale importanza, quando si ha a che fare con i disturbi in età evolutiva, coinvolgere i genitori nel programma riabilitativo e terapeutico intrapreso dal figlio attraverso un percorso di Parent Training.
BIBLIOGRAFIA
Il disturbo da sintomi somatici e i disturbi correlati sono caratterizzati da sintomi fisici veri o fittizi che sono associati a pensieri eccessivi o disadattivi, sentimenti e comportamenti in risposta a questi sintomi e conseguenti preoccupazioni per la salute.
L‘aspetto centrale del disturbo da sintomi somatici non riguarda però la presenza di questi sintomi fisici, quanto piuttosto la convinzione erronea di aver contratto una grave malattia (senza la presenza di sintomi gravi) che va ad innalzare il livello di ansia e di stress cronico e, di conseguenza, ad aggravare la sintomatologia fisica in un circolo vizioso. Nonostante le continue rassicurazioni comunque, la preoccupazione di aver contratto una grave malattia permane, mantenendo il soggetto in uno stato di costante apprensione. A livello psicologico i sintomi del disturbo riguardano aspetti cognitivi (pensiero di avere una grave malattia), emotivi (paure e ansia), percettivi (sensazioni di dolore senza apparente causa medica) e comportamentali (richiesta di rassicurazioni, visite specialistiche frequenti etc.).
Nei bambini e negli adolescenti i sintomi di tipo psicosomatico possono manifestarsi in diversi modi, coinvolgendo, a livello fisico, diversi sistemi e apparati. L’esordio del disturbo da sintomi somatici può manifestarsi a seguito di un evento traumatico (ad es. la morte di un familiare). In altri casi invece sembra emergere senza un apparente fattore scatenante.
Il trattamento per il disturbo da sintomi somatici può prevedere diverse strategie di intervento combinate insieme. La terapia cognitivo comportamentale è una delle psicoterapie con maggiori dati di evidenza sul disturbo da sintomi somatici: essa consente infatti di affrontare le distorsioni cognitive dei pazienti e le loro strategie maladattive, riducendo così le preoccupazioni e l’attenzione rispetto ai sintomi somatici. Attraverso il dialogo, il gioco o il disegno, il terapeuta aiuta il bambino a comprendere i suoi pensieri negativi, a riconoscere le emozioni che ne conseguono e i comportamenti sintomatici. È di fondamentale importanza coinvolgere i genitori nel programma riabilitativo e terapeutico attraverso un percorso di Parent Training in cui può essere effettuata una psicoeducazione per genitori al fine di aumentare e acquisire consapevolezza, capacità di gestione della malattia e delle sue conseguenze.
Un ulteriore approccio terapeutico che ha dimostrato efficacia sul disturbo da sintomi somatici è l’Acceptance and Commitment Therapy( ACT) atta a migliorare la flessibilità dell’immagine corporea e la consapevolezza corporea.
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Ed. DSM-5. Arlington: American Psychiatric Association.
Givehki R, Afshar H, Goli F, Scheidt CE, Omidi A, Davoudi M. Effect of acceptance and commitment therapy on body image flexibility and body awareness in patients with psychosomatic disorders: a randomized clinical trial. Electron Physician. 2018 Jul 25;10(7):7008-7016. doi: 10.19082/7008. PMID: 30128091; PMCID: PMC6092142.
Il Disturbo Post-traumatico da stress (DPTS) può manifestarsi in seguito all’esposizione diretta o indiretta a eventi di morte, minaccia di morte, grave lesione o violenza sessuale.
Per lo sviluppo di un PTSD è necessario che si manifestino i seguenti criteri:
Difficilmente la sintomatologia del PTSD si presenta in forme strutturate e facilmente definibili in età evolutiva, è possibile riscontrare spesso sintomatologie parziali e i sintomi possono comparire a distanza di poche ore dall’evento traumatico, ma anche di giorni o settimane.
Per alcuni bambini, inoltre, la sintomatologia può comparire con una grande intensità ed essere seguita da una graduale remissione, mentre per altri, i sintomi possono perdurare e aggravarsi (Semeraro 2016).
I Bambini in età pre-scolare spesso mostrano agitazione e disorganizzazione comportamentale e regressioni. Possono emergere paure generalizzate, ansia da separazione, comportamenti evitanti e disturbi della regolazione (sonno, alimentazione, evacuazione).
I Bambini in età scolare presentano cadute del funzionamento intellettivo e dell’apprendimento, impulsività, aggressività, ipervigilanza e iperattività o al contrario apatia e/o depressione (per esempio disinteresse verso le attività ludiche, ricreative o verso l’interazione sociale con i pari), problemi del sonno e disturbi della regolazione.
Gli adolescenti traumatizzati manifestano reazioni post-traumatiche come i disturbi depressivi e disturbi d’ansia. Mostrano comportamenti impulsivi o aggressivi, condotte esternalizzanti, comportamenti a rischio e condotte autolesive, abuso di sostanze stupefacenti e alcool, condotte sessuali a rischio e patologie somatiche.
TRATTAMENTO
La terapia cognitivo-comportamentale
Nel trattamento del PTSD, la terapia cognitivo-comportamentale si focalizza sulle distorsioni cognitive (con lo scopo di correggerle), sui processi di appraisal, sulle memorie traumatiche intrusive (con lo scopo di estinguerle) e quindi sulla desensibilizzazione del paziente agli stimoli associati al trauma attraverso l’esposizione ripetuta (Connor e Butterfield 2003). E’ dunque un approccio che comprende la combinazione di più componenti.
EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una tecnica psicoterapeutica ideata da Francine Shapiro nel 1989. Questa metodologia, utile per il trattamento di disturbi causati da eventi stressanti o traumatici come il disturbo da stress post-traumatico, sfrutta i movimenti oculari alternati, o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio eccitatorio/inibitorio.
L’approccio EMDR si basa sull’assunto che nel nostro cervello esiste un sistema innato di elaborazione delle informazioni che permette l’integrazione delle nuove esperienze nelle esistenti reti neuronali di memoria. Le memorie di esperienze traumatiche rimangono immagazzinate in modo disfunzionale in reti di memoria isolate dalle altre, non integrate e in uno stato eccitatorio. Le memorie non processate vengono poi stimolate da stimoli interni ed esterni, portando a reazioni cognitive, emotive e comportamentali inappropriate.
Con i bambini il lavoro con EMDR viene svolto in fasi raccogliendo dapprima la storia rispetto a eventi ed esperienze traumatiche con i genitori. La presa in carico è in ogni caso di tutta la famiglia, con particolare attenzione anche agli aspetti più significativi della storia dei genitori, così come delle loro eventuali problematiche, le esperienze non risolte che possono essere collegate con i problemi del figlio, le loro credenze, nonché paure e speranze.
Si procede con una fase di preparazione in cui gli obiettivi del genitore vengono riformulati in base a quelli che sono gli obiettivi che possono essere condivisi dal bambino per aumentare la collaborazione e la fiducia. Si segue con una fase di Individuazione e processamento dell’esperienza traumatica. I bambini possono non essere in grado di ricordare o parlare dei ricordi traumatici, ma danno degli indizi sulle loro esperienze e sui loro sentimenti durante il gioco o durante il loro lavoro creativo. È dal mondo del gioco che si cerca di capire la prospettiva del bambino, per capire cosa il suo comportamento sta raccontando. E’ nel gioco che viene adattata la fase di desensibilizzazione dell’EMDR, in modo più o meno simile al protocollo standard a seconda della capacità del bambino.
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association (2013a), DSM-5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. Milano: Raffaello Cortina, 2014
Chen, R., Gillespie, A., Zhao, Y., Xi, Y., Ren, Y., & McLean, L. (2018). The efficacy of eye movement desensitization and reprocessing in children and adults who have experienced complex childhood trauma: A systematic review of randomized controlled trials. Frontiers in Psychology, 9, 534.
Costello E.J., Erkanli A., Fairbank J.A. & Angold A., (2002). The prevalence of potentially traumatic events in childhood and Adolescence, Journal of Traumatic Stress, 15 (2), 99-112.
Greenwald R. L’EMDR con bambini e adolescent. Astrolabio Ed., 2000.
Meiser-Stedman, R., McKinnon, A., Dixon, C., Boyle, A., Smith, P., Dalgleish, T. (2019). A core role for cognitive processes in the acute onset and maintenance of post-traumatic stress in children and adolescents. Journal of Child Psychology and Psychiatry.
Semeraro V. (2016), Il Disturbo post-traumatico da stress in età evolutiva in Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza. Nuovi sviluppi. F. Angeli, Milano
Yule W., (2001). Post-Traumatic Stress Disorder in children and adolescent, International Review of Psychiatry, 13, 194-200.
I disturbi del comportamento comprendono una serie di condotte definite “esternalizzanti”, in quanto il disagio interno viene rivolto verso l’esterno attraverso condotte disfunzionali come l’aggressività, l’impulsività, la sfida, la violazione delle regole e altre condotte considerate socialmente inappropriate. In età prescolare e scolare, gli accessi comportamentali possono verificarsi in modo isolato e temporaneo oppure possono rappresentare dei veri e propri campanelli d’allarme per l’insorgenza di futuri disturbi del comportamento.
La capacità di agire in maniera adeguata rispetto alle norme sociali e di regolare autonomamente il proprio comportamento costituiscono due aspetti basilari dello sviluppo del bambino. Si tratta, tuttavia, di capacità complesse, che vengono acquisite gradualmente nel corso dell’intera infanzia. Fare affidamento sulla presenza dell’adulto nella regolazione delle proprie emozioni e del proprio comportamento è fondamentale per il bambino almeno fino ai tre anni di vita (Eisenberg et al., 2010).
Tra i disturbi del comportamento vi è Il Disturbo della Condotta. E’ un disturbo di natura comportamentale di bambini e adolescenti che consiste nel violare, in maniera ripetitiva e persistente, le regole imposte dalla società e i diritti degli altri. Emerge tendenza ad essere aggressivi e prepotenti, volontà di intimorire gli altri dando inizio a discussioni e colluttazioni fisiche, crudeltà e piacere nell’infliggere sofferenza fisica, ricorso ad armi o oggetti in grado di arrecare danni fisici ad altri, come coltelli, bastoni, pistole, la messa in atto di aggressioni a scopo di furto, scippi, estorsioni di denaro, rapine a mano armata. Si riscontrano anche scarsa capacità cooperativa, basso livello di empatia e una sovrastima della rabbia.
Per il disturbo della condotta numerosi studi indicano una maggiore efficacia terapeutica in interventi multimodali espletati a diversi livelli: familiare, individuale, scolastico e socioambientale. La letteratura scientifica attesta l’efficacia della psicoterapia cognitivo- comportamentale rivolta al soggetto e incontri di parent training rivolti ai genitori. L’obiettivo dell’intervento è un aumento delle condotte pro-sociali e una progressiva riduzione dei comportamenti esternalizzanti. Inoltre l’intervento deve includere anche i genitori e gli insegnati allo scopo di fornire strategie utili di fronteggiamento dei comportamenti disfunzionali messi in atto dai soggetti.
Altri interventi efficaci sono il Coping Power, rivolto a bambini di età compresa dai 7 ai 14 anni e la DBT-A (Dialetical Behavior Therapy Adolescents) rivolto agli adolescenti. Entrambi i programmi sono strutturati per coinvolgere nel trattamento i genitori.
Eisenberg, N., Spinrad, T. L., &Eggum, N. D. (2010). Emotion-related self-regulation and its relation to children’s maladjustment. Annual Review of Clinical Psychology, 6, 495-525.
Roskam, I. (2018). Externalizing behavior from early childhood to adolescence: Prediction from inhibition, language, parenting, and attachment. Development and Psychopathology, 1-13.
Van Nieuwenhuijzen, M., Van Rest, M.M., Embregts, P.J.C.M., Vriens, A., Oostermeijer, S., Van Bokhoven, I., Matthys, W. (2017). Executive functions and social information processing in adolescents with severe behavior problems. Child Neuropsychology, 23, 1-14.
Lochman J.E., Wells K.C., Lenhart L.A.(2012). Coping Power. Programma per il controllo della rabbia e aggressività i bambini e adolescenti (a cura di Muratori P., Polidori L., ruglioni L., Manfredi A., e Milone A.) Edizione italiana.
American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano 2007.
Jill H. Rathus, Alec L. Miller. Manuale DBT per adolescenti. Raffaello Cortina Editore 2020.
I disturbi del comportamento comprendono una serie di condotte definite “esternalizzanti”, in quanto il disagio interno viene rivolto verso l’esterno attraverso condotte disfunzionali come l’aggressività, l’impulsività, la sfida, la violazione delle regole e altre condotte considerate socialmente inappropriate. In età prescolare e scolare, gli accessi comportamentali possono verificarsi in modo isolato e temporaneo oppure possono rappresentare dei veri e propri campanelli d’allarme per l’insorgenza di futuri disturbi del comportamento.
La capacità di agire in maniera adeguata rispetto alle norme sociali e di regolare autonomamente il proprio comportamento costituiscono due aspetti basilari dello sviluppo del bambino. Si tratta, tuttavia, di capacità complesse, che vengono acquisite gradualmente nel corso dell’intera infanzia. Fare affidamento sulla presenza dell’adulto nella regolazione delle proprie emozioni e del proprio comportamento è fondamentale per il bambino almeno fino ai tre anni di vita (Eisenberg et al., 2010).
Tra i disturbi del comportamento vi è Il Disturbo esplosivo intermittente. Tale disturbo è caratterizzato da ricorrenti esplosioni di aggressività verbale o fisica rivolta a persone, animali o proprietà. La caratteristica del disturbo è l’incapacità di controllare un comportamento aggressivo impulsivo in risposta a ciò che viene vissuto soggettivamente come provocazione. Le esplosioni di aggressività impulsiva solitamente durano meno di 30 minuti e spesso gli attacchi verbali o fisici non comportano danni, distruzione o ferite, qualora ciò dovesse accadere sono poco frequenti. La diagnosi non deve essere posta ad individui di età inferiore ai 6 anni.
Per il disturbo del esplosivo intermittente numerosi studi indicano una maggiore efficacia terapeutica in interventi multimodali espletati a diversi livelli: familiare, individuale, scolastico e socioambientale. La letteratura scientifica attesta l’efficacia della psicoterapia cognitivo- comportamentale rivolta al soggetto e incontri di parent training rivolti ai genitori. L’obiettivo dell’intervento è un aumento delle condotte pro-sociali e una progressiva riduzione dei comportamenti esternalizzanti. Inoltre l’intervento deve includere anche i genitori e gli insegnati allo scopo di fornire strategie utili di fronteggiamento dei comportamenti disfunzionali messi in atto dai soggetti.
Altri interventi efficaci sono il Coping Power, rivolto a bambini di età compresa dai 7 ai 14 anni e la DBT-A (Dialetical Behavior Therapy Adolescents) rivolto agli adolescenti. Entrambi i programmi sono strutturati per coinvolgere nel trattamento i genitori.
Eisenberg, N., Spinrad, T. L., &Eggum, N. D. (2010). Emotion-related self-regulation and its relation to children’s maladjustment. Annual Review of Clinical Psychology, 6, 495-525.
Roskam, I. (2018). Externalizing behavior from early childhood to adolescence: Prediction from inhibition, language, parenting, and attachment. Development and Psychopathology, 1-13.
Van Nieuwenhuijzen, M., Van Rest, M.M., Embregts, P.J.C.M., Vriens, A., Oostermeijer, S., Van Bokhoven, I., Matthys, W. (2017). Executive functions and social information processing in adolescents with severe behavior problems. Child Neuropsychology, 23, 1-14.
Lochman J.E., Wells K.C., Lenhart L.A.(2012). Coping Power. Programma per il controllo della rabbia e aggressività i bambini e adolescenti (a cura di Muratori P., Polidori L., ruglioni L., Manfredi A., e Milone A.) Edizione italiana.
American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano 2007.
Jill H. Rathus, Alec L. Miller. Manuale DBT per adolescenti. Raffaello Cortina Editore 2020.
I disturbi del comportamento comprendono una serie di condotte definite “esternalizzanti”, in quanto il disagio interno viene rivolto verso l’esterno attraverso condotte disfunzionali come l’aggressività, l’impulsività, la sfida, la violazione delle regole e altre condotte considerate socialmente inappropriate. In età prescolare e scolare, gli accessi comportamentali possono verificarsi in modo isolato e temporaneo oppure possono rappresentare dei veri e propri campanelli d’allarme per l’insorgenza di futuri disturbi del comportamento.
La capacità di agire in maniera adeguata rispetto alle norme sociali e di regolare autonomamente il proprio comportamento costituiscono due aspetti basilari dello sviluppo del bambino. Si tratta, tuttavia, di capacità complesse, che vengono acquisite gradualmente nel corso dell’intera infanzia. Fare affidamento sulla presenza dell’adulto nella regolazione delle proprie emozioni e del proprio comportamento è fondamentale per il bambino almeno fino ai tre anni di vita (Eisenberg et al., 2010).
Tra i disturbi della condotta vi è Il disturbo oppositivo provocatorio. Tale disturbo implica problemi di autocontrollo delle proprie emozioni e dei comportamenti. Alcuni comportamenti che il bambino con disturbo oppositivo provocatorio può manifestare sono: attacchi di collera, uso di parolacce, violazione di regole, polemizzare con gli adulti ed attribuire agli altri le cause dei propri comportamenti. La maggior parte di queste condotte sono dirette, in particolar modo, a chi è riconosciuto come autorità. Prevalgono emozioni quali la rabbia, l’irritazione e umore collerico/irritabile. I primi segnali di questo disturbo sono osservabili già prima degli 8 anni di età.
Per il disturbo oppositivo provocatorio numerosi studi indicano una maggiore efficacia terapeutica in interventi multimodali espletati a diversi livelli: familiare, individuale, scolastico e socioambientale. La letteratura scientifica attesta l’efficacia della psicoterapia cognitivo- comportamentale rivolta al soggetto e incontri di parent training rivolti ai genitori. L’obiettivo dell’intervento è un aumento delle condotte pro-sociali e una progressiva riduzione dei comportamenti esternalizzanti. Inoltre l’intervento deve includere anche i genitori e gli insegnati allo scopo di fornire strategie utili di fronteggiamento dei comportamenti disfunzionali messi in atto dai soggetti.
Altri interventi efficaci sono il Coping Power, rivolto a bambini di età compresa dai 7 ai 14 anni e la DBT-A (Dialetical Behavior Therapy Adolescents) rivolto agli adolescenti. Entrambi i programmi sono strutturati per coinvolgere nel trattamento i genitori.
Eisenberg, N., Spinrad, T. L., &Eggum, N. D. (2010). Emotion-related self-regulation and its relation to children’s maladjustment. Annual Review of Clinical Psychology, 6, 495-525.
Roskam, I. (2018). Externalizing behavior from early childhood to adolescence: Prediction from inhibition, language, parenting, and attachment. Development and Psychopathology, 1-13.
Van Nieuwenhuijzen, M., Van Rest, M.M., Embregts, P.J.C.M., Vriens, A., Oostermeijer, S., Van Bokhoven, I., Matthys, W. (2017). Executive functions and social information processing in adolescents with severe behavior problems. Child Neuropsychology, 23, 1-14.
Lochman J.E., Wells K.C., Lenhart L.A.(2012). Coping Power. Programma per il controllo della rabbia e aggressività i bambini e adolescenti (a cura di Muratori P., Polidori L., ruglioni L., Manfredi A., e Milone A.) Edizione italiana.
American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano 2007.
Jill H. Rathus, Alec L. Miller. Manuale DBT per adolescenti. Raffaello Cortina Editore 2020.
Il Mutismo Selettivo è un quadro clinico complesso che rientra nella categoria dei disturbi d’ansia in età evolutiva: il bambino si mostra incapace di parlare e di comunicare in modo efficace in contesti sociali da lui selettivamente percepiti come minacciosi (ad esempio la scuola). Invece, negli ambienti in cui sperimenta stati di sicurezza, risulta perfettamente in grado di comunicare ed esprimersi liberamente. Chi manifesta questa difficoltà si sente sopraffatto da uno stato ansioso difficile da gestire, non mette in atto un comportamento intenzionalmente oppositivo, né cerca di attirare l’attenzione di chi lo circonda. Frequentemente si presenta in associazione ad un quadro di fobia sociale, pertanto, i bambini affetti da mutismo selettivo appaiono estremamente timidi, timorosi e timorosi di trovarsi in situazioni sociali nelle quali prevedono di dover parlare e comunicare. Se si sentono esposti al giudizio, assumono un comportamento non verbale rigido e impacciato, uno sguardo assente e inespressivo e tendono a evitare il contatto oculare. Apparentemente sembrano che vogliano ignorare l’altro, in realtà, avvertono il timore di confrontarsi in un ambiente percepito come poco sicuro dove avvertono che l’aspettativa riservata nei loro confronti sia maggiore rispetto alle risorse che sentono di possedere. Questi atteggiamenti possono, dunque, compromettere l’impegno sociale del bambino conducendolo a uno stato di isolamento. Ponendosi in disparte, la condizione emotiva del bambino tende ad autoalimentarsi in quanto favorisce un impoverimento della capacità di instaurare relazioni sociali e una penalizzazione della visione del sé.
TRATTAMENTO
La letteratura scientifica e i dati clinici mostrano una notevole efficacia dell’approccio cognitivo comportamentale che nel Mutismo Selettivo si propone di agire in modo multidimensionale lavorando su tre livelli: familiare, scolastico e sul singolo.
Il modello cognitivo comportamentale è orientato primariamente alla riduzione dell’ansia sociale di questi bambini e per questo diventa importante individuarne gli indici comportamentali e cognitivi, che caratterizzano il disturbo di ogni singolo bambino, per giungere ad un’effettiva modificazione degli stessi.
Di fondamentale importanza nel trattamento, soprattutto in età infantile, è il lavoro clinico con i genitori e insegnati attraverso interventi di parent-training e teacher training, improntati sulla psicoeducazione e finalizzati a fornire strategie comportamentali atte gestire in modo funzionale i comportamenti del bambino e a favorire ambienti facilitanti e supportivi.
L’esordio del disturbo si assesta normalmente nei primi 5 anni di vita, dunque, durante il processo di assessment è opportuno ripercorrere la storia evolutiva del bambino attraverso il colloquio con i genitori nel quale viene programmata un’osservazione sistematica ed eseguita un’analisi funzionale nei vari contesti di vita del bambino. In questo modo sarà possibile comprendere gli antecedenti e le differenti modalità con cui il disturbo di manifesta.
Gli incontri con bambino, nel quale il gioco può rivelarsi un mezzo efficace di comunicazione, sono finalizzati ad aiutarlo a capire il ruolo e la funzione del terapeuta, a comprendere il disagio vissuto, a ricavare informazioni sul problema e sulle sue conseguenze. La terapia cognitivo-comportamentale lavora nello specifico sul piano comportamentale aiutando i bambini a cambiare i loro comportamenti attraverso tecniche di rinforzo positivo, finalizzate a incrementare la probabilità di comparsa dei comportamenti comunicativi desiderati; tecniche di shaping, di esposizione graduale, di comunicazione defocalizzata, di automodellamento, basata sul principio dell’autorinforzo. Con lo sviluppo cognitivo del bambino crescono nuove capacità di introspezione, consapevolezza emotiva, per cui nel trattamento vengono incluse tecniche cognitive che hanno primariamente l’obiettivo di individuare e modificare i pensieri disfunzionali sottostanti il disturbo. Tale intervento è strettamente legato a programmi educativi sul riconoscimento, espressione e gestione delle emozioni per implementare la consapevolezza e sul rapporto esistente tra eventi e comportamenti conseguenti. Le tecniche di ristrutturazione cognitiva e di riformulazione vengono adottate attraverso l’uso di role-playing e simulazioni di scenari reali e immaginari. Vengono inoltre integrate tecniche di problem solving e training sulle abilità sociali finalizzate ad incrementare la consapevolezza del bambino delle situazioni problematiche.
Considerando che l’obiettivo terapeutico nel mutismo selettivo è orientato verso la diminuzione dell’ansia sociale, vengono applicati ulteriori interventi terapeutici utilizzati nel disturbo d’ansia sociale quali la terapia razionale emotiva comportamentale (REBT, ovvero Rational Emotive Behavior Therapy), l’Acceptance and Commitment Therapy (o ACT).
Capobianco, M. (2009). Il Mutismo Selettivo: Diagnosi, Eziologia, Comorbilità E Trattamento. Cognitivismo Clinico 6:2, 211-228.
American Psychiatric Association (1980). Diagnostic And Statistical Manual Of Mental Disorder, (3th Ed. Text Revision), American Psychiatric Association, Washington, DC.
Mutismo selettivo. Sviluppo, diagnosi e trattamento multisituazionale. A cura di Rezzonico G., Iacchia E., Monticelli M. Franco Angeli, Milano 2018.
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